Ci ricorda Diogene Laerzio(1) che quando chiesero a Talete che cosa fosse per lui la divinità, la risposta fu: «Quel che non ha principio né fine», definendo con astuzia “come colui che non sa” attraverso due negazioni di qualcosa che al contrario è conosciuto. A volte mancano i vocaboli giusti per dire le cose e dunque o li si conia ex novo o si ricorre a giri di parole: proprio sulla negatività, sull’antinomia tra l’esistenza e l’inesistenza dell’infinito si sviluppa tutta un’imprecisa etimologia del contrario. L’idea in-accessibile che si nasconde dietro all’in-finito è anch’essa in-finitamente in-esprimibile (in-effabile direbbero gli stilnovisti) e dunque lontana da un uomo che prova a scalare il sacro monte dell’infinito ma si ferma alla sua base e si accontenta di alcune sfumature: tra i molti apprezzabili tentativi ci sono anche quelli originalissimi di Salvador Dalí. In particolare, tra la grande mole di opere lasciateci da questo artista, riteniamo che almeno tre siano altamente significative perché saggiano ognuna una fetta diversa di infinito.
XX secolo. 1
Salvador Dalí e l’infinito
COME
SCALAREIL SACRO
MONTE
Un concetto denso di significati e difficilmente spiegabile attraverso un’unica interpretazione.
Qui proponiamo una triplice lettura dell’infinito
avvalendoci di alcune opere di Salvador Dalí.
Daniele Trucco