Grandi mostre. 3
L’arte italiana del secondo Ottocento a Viareggio

DALLA MACCHIAALL’IMPRESSIONE

Fattori, Signorini, Abbati, Zandomeneghi, De Nittis, Boldini sono i protagonisti dell’esposizione in corso alla Fondazione Centro Matteucci con un importante nucleo di opere provenienti dalle raccolte di due appassionati collezionisti del secolo scorso: Enrico Piceni e Mario Borgiotti.

Silvestra Bietoletti

Con la mostra dedicata alle raccolte di Mario Borgiotti e di Enrico Piceni, e al ruolo che i due collezionisti, “connoisseurs”, mercanti, ebbero per la valorizzazione della pittura italiana dell’Ottocento, la Fondazione Centro Matteucci per l’arte moderna prosegue nell’intento di far conoscere importanti collezioni private, rendendo omaggio a coloro che con passione e accortezza seppero comporre raccolte «organiche e vive» tali da costituire esse stesse un’opera d’arte, come asseriva Emilio Cecchi a proposito della collezione di Enrico Checcucci. 

Accostati nelle stanze raccolte del bel villino liberty sede del Centro Matteucci, straordinario “contenitore” per mostre propositive e di qualità, oltre quaranta dipinti appartenuti a Borgiotti e a Piceni dialogano fra loro dando vita a un armonioso itinerario dell’arte italiana del secondo Ottocento, che dalle tavolette del 1859 di Giovanni Fattori, esito delle riflessioni dell’artista sulle innovazioni formali della Macchia, conduce alle note squillanti e ai lucori del Ritratto di Maria Sommaruga, opera del napoletano Ulisse Caputo (1910 circa). 

Sono opere scelte con sapiente oculatezza fra quante raccolte da quei due autorevoli intenditori d’arte che dalla fine della seconda guerra mondiale, quando le nuove tendenze artistiche volgevano risolutamente verso altri linguaggi e la critica esortava a considerare provinciale la pittura italiana dell’Ottocento, s’impegnarono a mantenerne vivi i valori tramite pubblicazioni prestigiose che contribuirono a orientare il gusto di collezionisti italiani e non solo.


Telemaco Signorini, L'uncinetto (1885 circa).