«Il restauro è finito. O, almeno, è cambiato: è un’altra cosa. Non più quello che io ho praticato per quarantanove anni, e lei per quarantesei», dice. E “io” è Carlo Giantomassi, settantaquattro anni, e “lei” Donatella Zari: formano una tra le coppie più collaudate tra quelle che risanano i dipinti. Nelle loro foto passano numerosi tra i massimi capolavori italiani, con tanti lavori all’estero: Kosovo, Tibet, Birmania, Afghanistan, e via elencando. L’ultimo cui ora si dedicano - ma «il direttore è Antonio Paolucci, e noi siamo consulenti con Gianluigi Colalucci», quello che ha restaurato la Cappella sistina - sono gli affreschi del Camposanto di Pisa, bombardati da uno spezzone incendiario durante l’ultima guerra. In parte (i Benozzo Gozzoli) “slavati”, perché creati soprattutto a tempera e rimasti esposti a lungo alle intemperie, e in parte (quelli di Buonamico di Martino detto Buffalmacco) ripristinati come si sapeva, e si poteva, dopo il conflitto. Ne raccontano meraviglie. Riposizionandoli sotto il portico, c’era un problema: si formava la condensa; «e per la prima volta, grazie a uno studio dell’ingegner Innocenti e a Paolo Mandrioli del Cnr di Bologna, tra il telaio e il supporto è stato inserito uno speciale telo riscaldante, tipo quelli usati per i pneumatici nelle gare di Formula 1, che, se occorre, aumenta in modo automatico la temperatura di un grado e mezzo o al massimo due, e così risolve l’inconveniente».
Oppure: «Gli affreschi erano stati rimontati su supporti di eternit: necessario staccarli. Ma erano pieni di dannosissime colle animali. Complicato rimuoverle; e, anche qui per la prima volta, l’Università del Molise ha usato i batteri». Cioè? «Si possono allevare con una dieta speciale: mangiano soltanto un cibo, e quando non ce n’è più, muoiono senza lasciare conseguenze. Addestrati a metabolizzare la caseina e le colle animali; la caseina adottata per le reintelaiature era molto degradata». Siamo tra il restauro, la tecnologia e la fantascienza. «Sono quelli che si usano anche nei casi di sversamenti di petrolio in mare. Hanno un nome quanto mai curioso: Pseudomonas stuttzeri A2g». Beh, almeno c’è uno “zeri” di mezzo, qualcosa di legato all’arte.
Bello; ma perché il restauro è finito, non è più quello? «Prima, chi operava era il capocommessa.