ma in quello stesso anno 1512 una seconda e più celebre rivalità si profilava sugli orizzonti romani: la Stanza della Segnatura di Raffaello e la Sistina di Michelangelo erano compiute e il pubblico del tempo discettava su quale dei due pittori meritasse la palma del vincitore. Può apparire strano a noi moderni, ma le testimonianze provano che fosse proclamato vincitore non il sublime Michelangelo, ma il divino Raffaello. Scrive Vasari: «In Roma era venuto in tanto credito Raffaello da Urbino nella pittura che gli amici ed aderenti suoi dicevano che le pitture di lui erano […] vaghe di colorito, belle d’invenzioni, e d’arie più vezzose, e di corrispondente disegno, e che quelle del Buonarroti non avevano, dal disegno in fuori, niuna di queste tre parti [...] Ma non già era de’ seguaci di costoro Sebastiano […] e Michelangelo […] perché molto gli piaceva il colorito e la grazia di lui, lo prese in protezione; pensando che se egli usasse l’aiuto del disegno in Sebastiano, si potrebbe con questo mezzo, senza che egli operasse, battere coloro che avevano si fatta opinione»(38).
Il sodalizio ha dunque una chiara finalità: l’eccellenza nel colorito di Sebastiano, sostenuta dal disegno di Michelangelo, è l’arma da usare contro Raffaello per mettere in discussione il suo primato. Sebastiano scrive esplicitamente al suo mentore: «con il mezo vostro [cioè il disegno] far le vendette vostre et mie at un trat[t]o, et dar intendere a le persone maligne che’l c’è altri semidei che Rafael da Urbino e’ soi garzoni»(39).

