SPECCHIO DIVINO

«Io desidero cosa eccellentissima, desiderando di esser ritratto per la divinissima vostra mano. Di cui escono opere, che invaghiscono gl’occhi,

dilettano l’anima, nutriscono l’intelletto, le quali con maraviglia son considerate da dotti, e con stupor mirate dal volgo [...]. Alhora mi parerà haver guadagnato uno specchio, il quale io sempre chiamarò specchio divino, percioché in quello vedrò voi, e me stesso insieme. Voi, vedendo ne l’imagin mia la vostra singular virtù, e ’l vostro maraviglioso artificio. Me, vedendo ne l’arte vostra espressa vivamente la mia imagine [...] mi s’accenderà l’anima al bel desiderio d’honore e di gloria»(60)

In anticipo di tre secoli sulla Camera chiara di Roland Barthes, l’umanista senese Claudio Tolomei descrive l’atto performativo del ritratto come duplice rispecchiamento di autore e soggetto e delle loro rispettive qualità, riconoscendo a Sebastiano un’insuperata autorevolezza e aggiungendosi al coro degli ammiratori, da Pietro Aretino a Isabella Gonzaga, da Paolo Giovio a Michelangelo. In effetti, il ritratto è il campo di eccellenza di Sebastiano, dove è riuscito, più che in qualsiasi altra forma espressiva, a coniugare l’influsso formale di Michelangelo con la formazione giorgionesca e lagunare, mantenendo una cifra originale e autonoma. Questa si traduce nella monumentale ed eroica dignità, nei volumi dilatati e plastici, nella tavolozza dai colori tenui e argentei e nella magistrale resa degli incarnati a velature(61).


Ritratto di Michelangelo che mostra i suoi disegni (1520 circa).


Francesco Arsilli (1522 circa); Ancona, Pinacoteca civica.