XXI secolo. 1
Intervista a Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini

L’ETICADELLA DIFFERENZA

Una coppia di artisti riflette attraverso l’arte sulle dinamiche contemporanee tra i sessi e le culture, lavorando sul tema del conflitto: ineludibile, forse indispensabile.

Elena Agudio

Conflittualità, emotività, dialogo e comunicazione nel contesto delle relazioni umane e della famiglia sono i temi dominanti della ricerca di Ottonella Mocellin (1966) e Nicola Pellegrini (1962), coppia nella creazione artistica e nella vita: alla solitaria astrattezza del soggetto contrappongono l’unicità concreta, incarnata e sessuata dell’essere umano che si genera nelle relazioni plurali, concrete e corporee, con gli altri esseri umani. L’“etica della differenza”. 

Ottonella e Nicola, il vostro lavoro è influenzato dalla lettura e dalla pratica del pensiero femminista, soprattutto dalla prospettiva teorica di femministe italiane come Adriana Cavarero e altre figure fondamentali della Libreria delle donne di Milano, ma anche dalle riflessioni più contemporanee e globali sulla crisi della società patriarcale occidentale. Nel suo libro Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Cavarero parla di una filosofia della narrazione. Quanto nel vostro lavoro narrazione ed esperienza incarnata sono fondamentali? Quanto la possibilità e la capacità di raccontarvi e di rivivere la vostra vita di coppia attraverso il filtro della ricerca artistica funziona come pratica catartica e quanto come modello esemplare per una riflessione per antonomasia sul rapporto tra uomo e donna, per una re-visione dei ruoli di genere, del concetto di sessualità e del rapporto tra identità e alterità? 

Nel nostro lavoro esperienza narrata ed esperienza incarnata non solo sono fondamentali ma anche intrecciate, nel senso che il fuoco centrale della nostra pratica artistica sta proprio sul confine tra biografia e autobiografia. Contrapponendo l’ossessione della filosofia per il definire “cosa” è l’Uomo all’abilità della narrazione nel rivelare “chi” è qualcuno, Cavarero introduce il concetto del «sé narrabile con una storia unica». Se la storia di ognuno è unica e irripetibile, questa storia è al contempo invisibile a chi la sta vivendo, poiché troppo coinvolta/o negli eventi che la determinano. Ognuno di noi, sapendo che la nostra vita lascerà una traccia, sente un forte desiderio di conoscere il racconto di sé che gli altri le/gli fanno, dando così un senso e un significato alla propria identità. Attraverso la restituzione di questi racconti di vita, l’altro diventa quindi «l’altro necessario». 

Partendo da questo presupposto, così come da un desiderio di celebrare e indagare il tema della differenza, non solo sessuale, ma anche etnica, di appartenenza sociale, di ruolo all’interno della famiglia ecc., molti dei nostri lavori nascono da un processo di rispecchiamento con l’altro. In questo senso alcuni dei progetti più recenti, come Some kind of solitude is measured out in you, you think you know me, but you haven’t got a clue ed Ecco il guaio delle famiglie, come odiosi dottori sapevano esattamente dove faceva male, si sviluppano a partire da una serie di interviste su questioni nodali per lo sviluppo di ogni identità, come il rapporto con l’altro sesso o la comunicazione all’interno della famiglia, fatte ai membri dello staff del museo che ospita la mostra. Le storie raccolte vengono poi riraccontate dalle nostre voci che, garantendo l’anonimato di chi si narra, aggiungono, proprio anche tramite l’uso della voce più che con una libera interpretazione dei testi, una dimensione emotiva legata ai nostri personali vissuti.


Tutte le opere riprodotte in questo articolo sono di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini. Ecco il guaio delle famiglie. Come odiosi dottori sapevano esattamente dove faceva male (2014), collage stampato su carta cotone, particolare.


Togetherforever (2005), stampa lambda.