Finestre sull'Arte


il mercantedallo sguardo mite

di Federico D. Giannini

Fino al 26 febbraio a Genova sarà possibile ammirare il ritratto di un distinto gentiluomo biondo, occhi azzurri e sguardo mite, mustacchi arricciati e abito nero che quasi si perde nell’oscurità del fondo cupo: il personaggio è, con ogni probabilità, il mercante Desiderio Segno, e l’opera è tra le più significative di Anton van Dyck. L’occasione che l’ha portata per la prima volta a Genova è la piccola ma rilevante mostra Van Dyck tra Genova e Palermo, allestita all’ultimo piano della Galleria nazionale di palazzo Spinola fino al 26 febbraio. 

Il ritratto, proveniente dalle raccolte dei principi del Liechtenstein, fu realizzato da Van Dyck durante il suo soggiorno palermitano: l’artista si recò in Sicilia nella primavera del 1624 per attendere alla realizzazione del ritratto di Emanuele Filiberto di Savoia, nipote, per parte di madre, di Filippo II di Spagna, viceré dell’isola. 

La data, 1624, apposta sul dipinto e le vicende biografiche di Desiderio Segno che, a quell’epoca, era uno degli uomini d’affari liguri più in vista di Palermo, non dovrebbero lasciar adito a molti dubbi sul fatto che il ritratto sia stato realizzato mentre Van Dyck si trovava in Sicilia. Invece non è ancora dato sapere come abbia fatto l’opera a raggiungere Vienna, dove in un inventario del 1733 è già attestata presso le collezioni dei principi del Liechtenstein: quel che è certo, è che anticamente esisteva un «ritratto del quondam sign. Desiderio, di mano di Antonio Vandich», come recita l’inventario dei beni del mercante genovese redatto nell’anno della sua scomparsa, occorsa nel 1630. 

Che l’opera sia in stretta relazione con il ritratto del viceré, oggi alla Dulwich Picture Gallery di Londra (non in mostra), è dimostrato da evidenze stilistiche. Basterebbe, a titolo d’esempio, anche una fugace occhiata alla mano di entrambi i personaggi per accorgersi che è identica: di sicuro Van Dyck aveva fatto posare un modello e aveva utilizzato il disegno della mano per ambedue i quadri. Anche l’anello indossato sul mignolo è lo stesso: si è voluto identificarlo con uno degli oggetti presenti nell’inventario di Desiderio Segno, ma è plausibile che il gioiello appartenesse al pittore, e che questi lo avesse fatto indossare al modello probabilmente per evitare lunghe sedute di posa al suo committente. A corroborare l’identificazione del personaggio con Desiderio Segno, la critica (in particolare Vincenzo Abbate) avrebbe individuato nel gesto della mano destra un “segno” che potrebbe alludere al nome del soggetto: un “segno” che, in mostra, è stato inserito in un gioco di sguardi, di gesti e di rimandi che fanno apparire il ritratto di Desiderio Segno e i due che lo affiancano, quello di Ansaldo Pallavicino e quello di una gentildonna genovese con un bambino, un complesso unitario. Un complesso all’interno del quale l’ospite, quel biondo galantuomo dalla «presenza singolare » (così lo definisce Xavier F. Salomon nel catalogo della mostra), giunge a rimarcare quanto fosse elevata la statura di ritrattista di Anton van Dyck e quanto sia stato importante il suo ruolo nel panorama artistico genovese del XVII secolo.


Una mostra genovese alla Galleria nazionale di palazzo Spinola è l’occasione per riflettere sull’identità di un personaggio ritratto da Van Dyck


Anton van Dyck, Ritratto di Desiderio Segno (1624), Vienna, Liechtenstein, Princely Collections.


Anton van Dyck, Ritratto del principe Emanuele Filiberto di Savoia (1624), Londra, Dulwich Picture Gallery.