«Tetti di ville che si levano lungo il pendio delle rive, colline verdeggianti di vigneti e, ai loro piedi, il corso amabile della Mosella, che fluisce con tacito murmure. Salve, o fiume esaltato per i tuoi campi […]. A te i Belgi sono debitori delle mura degne di accogliere la sede imperiale, o fiume i cui colli sono coltivati a vigne dai vini fragranti ». E così via: quelle morbide anse fluviali fra pendii ordinatamente coperti di filari caratterizzano ancora oggi il panorama. Quando scriveva questi versi (e anche molti altri: il poema Mosella è lungo ben 483 esametri), Decimo Magno Ausonio, nato a Bordeaux attorno al 310 d.C., era precettore del futuro imperatore Graziano a Treviri: sede imperiale, come dice lui stesso, cioè una delle nuove capitali create dopo la riforma dello Stato romano attuata da Diocleziano, quando ormai Roma aveva perso la sua centralità. Attribuire al fiume il merito della prosperità di Treviri (che in un’altra sua opera lo stesso Ausonio colloca al sesto posto fra le città dell’impero) non era esagerato: rive fertili, allevamenti fiorenti, pesca abbondante, navigabilità erano prerogative evidenti, e fra queste l’ultima assicurava l’esportazione di ciò che si produceva grazie alle altre. Era facile infatti raggiungere il Reno, la frontiera dell’impero, con le sue guarnigioni da rifornire, ma anche con le popolazioni che abitavano al di là e che costituivano, almeno nei periodi di pace, un’ulteriore, potenziale clientela.
