«Probabilmente ebbi allora le mie prime esperienze inconsce di un’arte collegata al corpo, poiché molte delle opere di quel periodo, dalle grandi sculture pubbliche ai dipinti incorporati nelle architetture delle chiese, non sono che una forma di installazione: un’esperienza fisica, spaziale, da consumare interamente»(13).
Molti suoi lavori successivi derivano proprio da queste esperienze italiane e soprattutto dall’aver visto le opere in un contesto vivo e vissuto, non musealizzate e “morte”, ma parte della vita quotidiana. Ha finalmente l’occasione di percepirle non da un solo punto di vista, come sui libri, e inizia a vedere le immagini elementi al servizio di un sistema più vasto che comprendeva la propria esperienza corporea e fisica(14).
Fondamentale è anche un soggiorno a Siena, dove Bill rimane un mese nel 1977 come cameraman per girare un documentario sulla città. All’inizio non comprende le opere di maestri quali Duccio, i Lorenzetti, Giovanni di Paolo, il Maestro dell’Osservanza ma quei giorni senesi diventano una fase essenziale della sua formazione.
«Oggi sono tra gli artisti che amo di più, e la mia più grande fonte di ispirazione. […] Era come se la parte inconscia di me li stesse digerendo mentre
la parte conscia li sputava fuori!»(15).
Un’ulteriore tappa di avvicinamento all’arte antica, una svolta avvenuta in modo perfettamente conscio, risale al 1984 quando a Madrid visita il Prado e
scopre opere fiamminghe e spagnole in dialogo, e rimane sconvolto soprattutto dalle Pinturas negras di Goya.
«Mi abbandonai a quei dipinti come non avevo mai fatto, e questo schiuse un’enorme porta davanti a me. […] Mi resi conto che la tradizione dei maestri
del passato era totalmente incentrata sul contenuto; forma e tecnica erano al suo servizio. Il fulcro erano le storie umane, la profondità interiore: la
coscienza, in definitiva»(16).