Nota in Italia soprattutto per la sua raffinata installazione Latency nell’area Scarpa della Querini Stampalia di Venezia, quando nel 2007 rappresentò la Croazia alla Biennale, e per le sue collaborazioni e ricerche con neuroscienziati e scienziati della visione, Ivana Franke è un’artista ossessionata dal senso di flebilità e instabilità della luce. Dalla sua invisibilità e dalle sue apparizioni immateriali. La sua ricerca indaga i limiti della percezione, visiva e spaziale. Insieme alla luce impiega complesse strutture geometriche per creare fenomeni che spesso appaiono effimeri, ambigui ed enigmatici, se non addirittura misteriosi: fenomeni che prendono forma solo nella mente dell’osservatore, tra lo spazio fisico e quello mentale, e che sfidano la nostra abituale percezione e comprensione della realtà.
In Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze, Didi-Huberman ha paragonato le immagini a lucciole: come lucciole, spiega, le immagini sono «la cosa più fragile e fugace che ci sia». Lo storico dell’arte francese suggerisce che la qualità ultima dell’immagine sia la sua apertura, la sua mutevolezza, la sua fragilità; essa ha un’intrinseca capacità di condensare memoria culturale, di proiettare il passato nel presente e metabolizzare antichi simboli visivi in nuove forme(1).
