Nel 1936 Alfred Barr Jr., direttore del MoMA - Museum of Modern Art di New York, aveva notato in una mostra nella galleria parigina Charles Ratton un’opera composta di una tazza, un piattino e un cucchiaino ricoperti del pelo di una specie di gazzella cinese. Comprò la Colazione in pelliccia di Meret Oppenheim (1913-1985) per la collezione del giovane museo. L’artista svizzera di origine tedesca, allora ventitreenne, scrisse, con il suo consueto humor, una lettera al museo nella quale suggeriva di nutrire la sua tazza impellicciata con delle pastiglie di naftalina. Fu proprio quest’opera a legare il suo destino a quello del gruppo surrealista e a influenzare gran parte della ricezione delle sue opere successive. La poetica del suo lavoro infatti fu quasi sempre interpretata come una conseguenza della precoce relazione con i maestri più anziani e affermati come Breton, Duchamp, Giacometti, Man Ray, con i quali per tutti gli anni Trenta ebbe stretti rapporti d’amicizia e talvolta anche d’amore, come con Max Ernst. La mostra al Lac - Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano, dal 12 febbraio al 18 maggio, propone invece un accostamento delle opere dell’artista con quelle dei suoi compagni di strada volto a mostrare come alla base delle affinità stilistiche ci fosse una sensibilità comune piuttosto che un tentativo di emulazione.
