Edouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 - 20 aprile 1883) è uno di quegli artisti che hanno ricevuto il giusto riconoscimento post mortem. Come Van Gogh. Ma mentre quest’ultimo non riuscì a vendere quasi nessun quadro, rischiando la fame, Manet, che apparteneva all’alta borghesia parigina, e non aveva problemi economici, se lo poteva permettere. Rigoroso, coraggioso, tenace, aveva lottato tutta la vita per far riconoscere l’alto livello della sua pittura ai Salon, rifiutando vie traverse e compromessi. Soprattutto cercando di svecchiare la mentalità retriva della giuria, provando e riprovando a esporre nonostante batoste e incomprensioni, apprezzato solo da amici poeti e scrittori.
Era un sostenitore della tradizione pittorica secentesca italiana e spagnola, della classicità, che riusciva a modernizzare con contenuti di attualità,
che facevano scandalo. Capolavori come Le déjeuner sur l’herbe, l’Olympia, Cristo morto e due angeli furono aspramente criticati perché inserivano nudi
in contesti contemporanei e non storici o mitologici, come avevano fatto grandi predecessori, Ingres, per esempio. Le déjeuner sur l’herbe, intitolato
in origine Il bagno, esposto al Salon del 1863, fu sbeffeggiato: «Ora un disgraziato francese ha tradotto Giorgione nel moderno realismo e negli
orribili panni francesi moderni in luogo dell’elegante costume veneziano », scriveva il critico inglese Hamilton. Stessa sorte per gli altri due quadri,
l’Olympia esposta al Salon del 1865, colpevole di ispirarsi alla Venere di Urbino di Tiziano e alla Maja desnuda di Goya, trasferendole nella
contemporaneità, e il Cristo morto e due angeli tacciato di troppo realismo.