Studi e riscoperte. 2
Il gusto egizio: diffusione, moda, mania

LA FEBBRE
DEL NILO

Quanto Egitto c’è nella cultura occidentale? E da quando? In queste pagine ripercorriamo i tempi e i modi con cui uno stile decorativo si è fatto largo per secoli fino a modellare il gusto e arrivando a influenzare architettura, abbigliamento, scultura, suppellettili, perfino il design.

Anna de Fazio Siciliano

tutto ebbe inizio quando, nell’agosto del 46 a.C., Cleopatra VII arrivò a Roma. Le sue navi trasportavano oro e grano, materiali preziosi ma anche uno scomodo bottino: i riti isiaci tanto amati dal popolo quanto osteggiati dagli imperatori. È l’Egitto che irrompe sulle rive del Tevere con il suo corredo di conoscenze e simboli: animali sacri, segni astrali, sfingi e piramidi, obelischi. Intreccio cruciale di conoscenze secolari in cui magia, filosofia e religione sono inestricabilmente fuse insieme, il fascino della terra del Nilo e della sua cultura millenaria non conosce stagioni di oblio.

Elemento costante e persistente nel mondo antico, la civiltà egizia aumenta il proprio potere d’attrazione, paradossalmente, proprio quando, con la riscoperta umanistica del Quattrocento, sono andati ormai perduti gli strumenti per leggerne correttamente la lingua e la straordinaria scrittura. È l’inizio di un percorso di recupero che vede il momento di maggiore intensità con eruditi come Annio da Viterbo, a cui si deve il programma decorativo quattrocentesco degli appartamenti vaticani di papa Borgia, intrisi di cultura egizia.

Quella civiltà nata lungo il corso del Nilo, considerata fondamentale per le successive culture mediterranee, nonché antico basamento delle credenze religiose del mondo (come scrivevano nel Seicento Vincenzo Cartari e il suo epigono Pignoria) - va rilevato - è solo con il XVIII secolo che, grazie a un nuovo approccio al concetto stesso di antichità, verrà legittimata.

Una legittimazione che però non ci sarebbe stata se durante il Seicento figure geniali come il gesuita Athanasius Kircher non avessero costruito, intorno alle seducenti figure dei geroglifici, un’intera filosofia che sfocerà in una nuova visione del mondo. E non si sarebbe verificata se nel XVIII secolo Giovan Battista Piranesi, attraverso una personale reinterpretazione delle antichità, non avesse introdotto una visione e un adattamento del tutto innovativo di riutilizzo del fascino per l’Egitto. Quando Tommaso Conca, seguendo le orme di Piranesi, trasforma in stile egizio la celebre stanza di villa Borghese a Roma, non fa che precorrere una moda che vedrà, d’ora in poi, le dimore nobili di tutta Europa arredare gli interni sull’onda di questa innovativa linea estetica.

Un’innovazione che però significherà anche l’inizio di una perdita: i connotati originari dell’arte e della cultura egiziana saranno dispersi quando non ridotti a puro gusto minimal. Se d’altro canto molti contenuti si perderanno, le tracce rimanenti permetteranno una rinascita e riattualizzazione delle antiche forme con l’esaltazione di nuove interpretazioni. Il caso della Sala egizia della Borghese, infatti, se da una parte vede ridotte quasi a pura decorazione la geografia e la storia del paese delle piramidi, con scene delle inondazioni del Nilo dipinte sulla volta, reimmette d’altra parte, sul filo di un revival egizianeggiante, elementi e canoni estetici che non passano inosservati nell’Italia centrale, quando vent’anni dopo se ne terrà conto per la realizzazione della Sala egizia di Città di Castello e, al di là delle Alpi, da parte di Thomas Hope per la decorazione della sua Black Room.