Il 3 dicembre del 1996, a La Spezia, apriva le porte un museo di notevole rilevanza: il Museo civico Amedeo Lia, allestito nelle sale di quello che anticamente fu il convento di San Francesco di Paola, nel pieno centro della città ligure. Appena un anno prima, il Comune aveva ricevuto in dono una vasta collezione di opere d’arte e manufatti antichi, e si era limitato a compiere il proprio dovere, come ebbe a dire il sindaco di allora, Lucio Rosaia: trovare una sistemazione adatta per l’eccezionale raccolta, riconosciuta come una delle più importanti a livello europeo tra quelle radunate da collezionisti privati, e mettere il pubblico nelle condizioni di fruirne. Il nome del museo avrebbe omaggiato, a imperitura memoria, il donatore: Amedeo Lia (1913-2012), ingegnere di origini salentine ma trasferitosi sulle rive del golfo dei Poeti nel 1949. Lia aveva fondato un’azienda di forniture navali (tuttora esistente e attiva), e la sua attività d’imprenditore lo aveva portato a viaggiare in Italia e in Europa: nel corso di queste trasferte maturò una forte passione per l’arte, che volle esprimere acquistando dipinti, sculture, manoscritti, oggetti d’ogni sorta. Con alcuni “focus” suggeriti dal suo gusto: uno su tutti, i “fondi oro” del Duecento e del Trecento, forse le opere preferite di Amedeo Lia. Una settantina di dipinti, scelti per costituire un nucleo che non avrebbe avuto eguali in altre collezioni private contemporanee: Pietro Lorenzetti, Lippo Memmi, Barnaba da Modena e Bernardo Daddi sono soltanto alcuni dei nomi degli artisti le cui opere concorrono a formare la raccolta e che oggi sono esposte tra la terza e la quarta sala del museo spezzino. Percorrendone gli ambienti, riusciamo a cogliere quanto vasti fossero gli interessi di Amedeo Lia e quanto raffinato fosse il suo gusto, che non trascurava neppure le arti cosiddette “minori”: al piano terra, una cospicua selezione di gemme, smalti “champlevé”, avori, oggetti liturgici, ceramiche di Limoges introduce il visitatore al percorso museale che, senza fuoriuscire dal Medioevo, continua con la sala dedicata ai codici miniati.
Si sale dunque al piano superiore: dopo aver apprezzato un piccolo “antiquarium” archeologico con pezzi d’età romana, si giunge ai succitati fondi oro,
per proseguire poi nelle sale dedicate alla pittura del Quattro e del Cinquecento. C’è spazio non solo per la pittura ligure, rappresentata da Giovanni
Mazone, ma anche per alcuni dei più grandi nomi del tempo, da Antonio Vivarini a Tiziano passando per Lucas Cranach e Sebastiano del Piombo, e c’è anche
un dipinto di dubbia attribuzione a Raffaello.