tra le sue pensate più eclatanti ci fu, nel 2004, quella di vendere direttamente al pubblico, bypassando le gallerie, colpevoli, secondo lui, di percepire tra il quaranta e il sessanta per cento dei suoi incassi. Avvenne così che il 16 settembre 2008 ci fu il clamoroso colpo di scena: Damien Hirst decise di sbarazzarsi dei suoi animali imbalsamati mettendo direttamente all’incanto nella sede londinese di Sotheby’s duecentoventitre pezzi del suo stravagante pantheon artistico. Solo per citarne alcuni, ricordiamo The Golden Calf, la carcassa di un vitello immerso in formaldeide con corna e zoccoli in oro, che ha raggiunto un record d’asta di 10,3 milioni di sterline (13 milioni di euro); The Kingdom, uno squalo tigre sempre in formaldeide, pezzo icona della creatività del giovane artista britannico, venduto per 9,6 milioni di sterline (12 milioni di euro). L’asta ha incassato più di 140 milioni di euro, era il giorno successivo all’avviamento della procedura fallimentare della banca d’affari statunitense Lehman Brothers.
Cosa aveva spinto l’artista di Bristol (1965), appartenente a una famiglia povera, cresciuto a Leeds e diventato il capofila del movimento dei cosidetti
Ybas (Young British Artists, gruppo nato a Londra a fine anni Ottanta), a volersi liberare delle sue creature? «Avevo quarantatre anni ed era arrivato
il momento di voltare pagina», raccontava in un’intervista condotta da Paola de Carolis per il “Corriere della sera” non appena conclusa la clamorosa
vendita del 16 settembre 2008.
Oggi che ha cinquantuno anni, Hirst è pronto per la sua prima grande personale in Italia, a Venezia, dopo la retrospettiva del 2004 al Museo
archeologico nazionale di Napoli.