Nel marzo del 1968 Pino Pascali (1935-1968) allestì alla galleria L’Attico di Roma cinque lunghi spazzoloni colorati adagiandoli sul pavimento come fossero dei bruchi giganteschi usciti dal “Paese delle Meraviglie” di Carroll. A completamento dell’installazione, nell’angolo dove i “bruchi” allineati uno di fianco all’altro sembravano convergere, imbastì anche una fragile ragnatela di fili, che in contrasto con i colori sgargianti degli spazzoloni era quasi trasparente.
Il titolo dell’opera, ricavato da un fanciullesco gioco di parole, non lasciava dubbi sulla volontà mimetica dell’artista: con Cinque bachi da setola e un bozzolo Pascali voleva rappresentare quelle larve operose che producono la seta e che per un naturale processo metamorfico, tra il meraviglioso e l’ironico, sono destinate a diventare farfalle. Prendendo spunto dalla metamorfosi che avviene in natura Pascali ne realizzò una propria dell’arte, attuando quella commistione tra naturale e artificiale che, in soli quattro anni di attività, tra il 1965 e il 1968 - anno della sua prematura scomparsa dovuta a un grave incidente in motocicletta -, diventò una delle costanti più esplicite del suo lavoro.
In maniera del tutto personale, e forse anche involontaria, questo giovane e irriverente artista-bricoleur ha rivisitato il gesto appropriativo
dell’arte concettuale, l’ironia scherzosa e perturbante del surrealismo, l’ingigantimento operato dalla Pop Art sugli oggetti quotidiani, la
predilezione per i materiali industriali dei minimalisti; e si è avvicinato alla potenza visionaria di Savinio, alla spensierata giocosità di Manzoni,
alla sensibilità per i materiali e lo spazio tipica dei poveristi.