Come nelle favole migliori, c’era una volta. A Venezia vicino alle Zattere, nel sestiere di Dorsoduro, dal 1882 al secondo dopoguerra, in calle Cortelogo dove era la fonderia Arquati, prospera quella di Emanuele Munaretti, talora evocato anche come «scultore Muner». Non era un’officina qualunque; quando il campanile di San Marco collassa, il 14 luglio 1902, è incaricata di restaurare i bronzi trovati tra le macerie: le campane, e quattro statue di Jacopo Sansovino (Minerva, Apollo, Mercurio, la Pace). E l’anno dopo fonde il monumento padovano dedicato a Giuseppe Mazzini, opera di Giovanni Rizzo. A «Muner» si rivolgevano pure buoni scultori. Lui nasce a Vicenza nel 1859; quando se ne va, la fonderia declina: si dedica al piccolo cabotaggio, ai ricordini per i turisti; fino agli anni Sessanta, la famiglia possedeva un negozio nelle Mercerie. Poi, però, a due riprese, l’intera area si trasforma in abitazioni: negli anni Settanta, e nel 1998. Quanto era nei magazzini, non lo vuole nessuno: mancavano i fondi per acquisirlo, e gli spazi dove conservarlo.
La pagina nera
SE LO STATO BUTTA VIA
FACCIO IO E COSí SIA
Il tesoro dei magazzini della storica fonderia veneziana di Emanuele Munaretti rischiava di andare perduto se non fosse stato acquistato da Guerrino
Lovato, studioso d’arte e artigiano.
Ma c’è di più. La raccolta di gessi, sculture, calchi ha trovato dimora da gennaio scorso, per dieci anni, in
un museo creato apposta a Cerea (Verona). E salta fuori un nuovo artista, Antonio Canova “il giovane”: era ignoto.
di Fabio Isman