La sua era arte pura, per dirla con Apollinaire, in sintonia con la frenesia del mondo moderno, ma passò gli ultimi anni da reietto. Se non fosse stato per la moglie artista e per i suoi importanti contatti, Robert Delaunay (1885-1941) sarebbe caduto nell’oblio. Eppure non difettava certo in originalità: esaltava il colore e il suo significato come fosse un espressionista, ma proponeva anche più sfaccettature dei soggetti come un cubista, e imprimeva pure un movimento come fosse un esponente del De Stijl. Si spiega così il suo andirivieni fra astrattismo e figurazione, anche se le opere più famose sono i quadri dalle forme circolari, variopinte, che riusciva a rendere inquietanti e in movimento. Per riuscirci non guardava alla musica come Kandinskij, non attribuiva come lui un significato e un suono a ogni colore; si era invece rivolto alle teorie sulla scomposizione della luce di Newton per come erano state sviluppate nell’Ottocento da Michel Eugène Chevreul. Quello scienziato, quando lavorava per la nota fabbrica tessile Gobelins, aveva definito una regola per gli accostamenti di colori, sfruttandone le caratteristiche. Aveva disegnato un cerchio in cui colori opposti, o complementari (come il rosso e il verde), creano luminosità e invitano l’occhio a soffermarsi; il contrario per i non complementari che invitano a spostare lo sguardo. Seguendo quindi queste leggi, Delaunay creava i suoi quadri in modo che l’occhio dello spettatore si spostasse con un ritmo da lui definito; così, oltre al puro piacere dato dall’ammirare l’insieme dell’opera a un primo impatto, i quadri di Delaunay diventano capolavori paragonabili a Mondrian.
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I COLORI
DI DELAUNAY
di Daniele Liberanome