La Sicilia ha una storia differente da quella delle altre regioni italiane perché la sua posizione centrale nel Mediterraneo ne ha fatto da sempre un’isola contesa dalle varie potenze. Si sono così succeduti greci e romani, barbari, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli, francesi fino all’annessione al Regno d’Italia. Terra di incontro di popoli e culture, con tradizioni, anche gastronomiche, che risentono del millenario amalgamarsi di genti differenti.
Determinanti, per differenziare la cucina, anche le contrastanti caratteristiche delle zone dell’interno e di quelle della costa, dove la vegetazione è
lussureggiante di agrumeti, mandorli, zagare, mentre il centro dell’isola è contraddistinto da sterminate distese di grano, verdi in primavera e che
diventano stoppie in estate, intervallate da fichi d’India. La gastronomia dell’isola è considerata la più antica d’Europa e infatti Platone - quattro
secoli prima di Cristo - citava la vita e la cucina di Sicilia come fonte di perdizione per i giovani. Cuochi itineranti provenienti dall’isola avevano
raggiunto la notorietà in tutto il Mediterraneo, e siciliani erano anche eruditi quali Archestrato - non si sa se di Gela o Siracusa - autore del poema
Gastrologia, assai criticato dai moralisti. Già allora erano famosi soprattutto tonni e pescispada, anguille, orate e aragoste, ma all’interno pastori e
contadini mangiavano soprattutto pane con olive o cipolle, formaggi, oltre che erbe spontanee e, nei periodi di pioggia, le lumache, dette “babbaluci”.