Nel caso di Maurizio Cattelan, il primo esperimento in questo senso è Super Us (1992), un’opera composta da cinquanta ritratti dell’artista realizzati da maestri di identikit, e basati su descrizioni di amici e conoscenti, per capire qual è l’esatta percezione di noi stessi da parte degli altri. «Quest’opera era realmente provocata dal desiderio di capire come le persone che ti sono vicine ti percepiscono, spesso in maniera diversa da come credi di essere. Così ho pensato di visualizzare l’idea di me stesso. I disegni mi assomigliano, ma allo stesso tempo sembrano cartoni animati. Erano incredibili. Non so se è stata una buona idea». L’idea di un’identità sfuggente ma diffusa ricorre sotto diverse forme nell’opera dell’artista e viene moltiplicata all’infinito in Spermini (1997), composta da cinquecento maschere di latex che riproducono il suo volto in maniera ossessiva. Mini-me (1999) invece è un autoritratto in miniatura, vestito con gli stessi abiti abitualmente indossati da Cattelan e caratterizzato da un’espressione dubbiosa, quasi persa. Qui il riferimento è cinematografico, e si riferisce al clone del Dottor Male, personaggio della saga inventata da Austin Power, ispirato al film L’isola perduta (1966) dove Marlon Brando cerca un suo sosia in miniatura. Un altro celebre autoritratto è presente in La rivoluzione siamo noi (2000), dove Cattelan indossa un abito di feltro, tessuto utilizzato spesso dal grande artista tedesco Joseph Beuys, appeso al gancio di un appendiabiti di metallo disegnato da Marcel Breuer, esposto per la prima volta alla sua personale al Migros Museum für Gegenwartskunst a Zurigo. «Beuys ai miei occhi è sempre stato un artista misterioso. Per me l’aspetto più affascinante del suo lavoro è lui, il cappello di feltro, la giacca da pescatore». L’espressione contrita e rassegnata dell’artista, che appare qui come un adulto-bambino, in una posa che tende a mostrare un volto umano di un artista mitico come Beuys, in un’operazione simile all’Hitler di Him.
AUTORITRATTO DELL’ARTISTA
(DA BAMBINO)
Per un artista che ha fatto dell’ironia la sua arma più diretta, è naturale che giocare con i volti, proprio e degli altri, costituisca una strategia possibile.