Nel 1980 Lea Vergine pubblicava L’altra metà dell’avanguardia, cercando di rileggere la storia dell’arte al di là di una prospettiva prettamente patriarcale - seppur con scarsa stima della più sofisticata critica femminista, che considera il testo come un semplicistico rispecchiamento della logica e della dialettica di potere maschilista - e tentando di rendere il canone dell’arte occidentale più elastico e inclusivo.
Circa negli stessi anni, ad altre latitudini, movimenti avanguardistici fondamentali stavano sperimentando linguaggi e pratiche artistiche emancipatorie, elaborando dibattiti e discorsi filosofico-politici tanto radicali ed essenziali quanto - ahimé - mai inclusi in alcun libro di storia dell’arte nell’Occidente.