Gli archivi della televisione italiana, oggi reperibili sul web, ci hanno conservato una bella intervista di Giorgio La Pira - il celebre sindaco di Firenze, salito agli onori degli altari sotto il pontificato di Giovanni Paolo II - che paragonava il Concilio vaticano II ai segni che i contadini colgono nella natura per comprendere che sta arrivando la primavera. Così, il Concilio aveva - secondo la riflessione di La Pira - il medesimo val di avvisaglia svolto da una gemma fiorita su un albero, come testimonianza che l’inverno è passato(1). Per chi, come me, ragazzino di quattro anni, quell’intervista l’ha sentita con le proprie orecchie dal televisore a valvole posto al centro del salotto di casa nel lontano 1961, quel ragionamento è stato davvero una chiave di lettura della Storia che difficilmente si può dimenticare. Allora, non sfuggono i segni dei tempi che cambiano in peggio (quasi sempre), o in meglio, assai più raramente, la stagione della nostra tormentata epoca. Bene, la mostra La Menorà. Culto, storia e mito, senza ombra di dubbio, appartiene felicemente a questa seconda categoria, quando un’era si apre al cuore della speranza e la prospettiva della pace diviene assai più concreta.
Non si pensi a un’esagerazione perché il fatto stesso che l’evento abbia due sedi significative come il Braccio di Carlo Magno (guardando a sinistra il
colonnato della monumentale piazza San Pietro) e l’importante Museo ebraico al piano inferiore dell’imponente sinagoga di Roma, la dice lunga sulla
grande portata di un’esposizione - che non è improprio definire epocale - organizzata in stretta collaborazione fra la Pontificia commissione per i
rapporti religiosi con l’ebraismo e la Comunità ebraica di Roma(2).