Giunto a Parigi poco più che ventenne, Leonetto Cappiello si era dedicato alla caricatura, collaborando a riviste umoristiche come “Le Rire” o “Le cri de Paris”, e specializzato nel ritrarre le dive del teatro leggero, acclamate protagoniste di operette e di commedie musicali. Per il suo primo manifesto, realizzato nel 1899 per il periodico “Frou Frou”, non aveva fatto altro che trasporre tali esperienze nella grande dimensione, distinguendosi per la straordinaria economia di mezzi disegnativi e cromatici; ma con il geniale inserimento dello slogan nell’immagine - il titolo della testata posto tra le gambe della danzatrice di can can, come fosse il fruscio delle sue gonne - si era già candidato a innovatore della comunicazione.
I manifesti della sua prima stagione hanno tutti caratteristiche molto simili: che si tratti di pubblicizzare uno spettacolo teatrale delle Folies
Bergère o la rappresentazione di una commedia con la grande Réjane al Théâtre de Vaudeville, ma anche, più prosaicamente, di convincere all’acquisto di
champagne, Cappiello delinea con sicurezza una, massimo due figure, scontornandole nettamente rispetto ai fondi monocromi, che solo raramente si
punteggiano di descrizioni ambientali. Diversamente da Chéret, non dinamizza il disegno frammentandolo; piuttosto, lo fa fluire con continuità
tracciando curve di grande forza empatica; e così, mentre gli stilemi neorococò e le citazioni impressioniste ancoravano il francese alla tradizione
pittorica passata, i linearismi ad arabesco proiettano decisamente l’italiano nel nuovo articolato mondo del modernismo.

