INTRODUZIONE p roporre una definizione compiuta ed esaustiva del termine “grafica” sarebbe un’impresa davvero ardua, tanta è la ricchezza dei materiali che vi si possono ricondurre. E proprio per questo, in verità, ci si dovrebbe limitare a classificare, piuttosto che presumere di definire: registrando le moltissime tipologie, indicizzando i formati e le funzioni, elencando le svariate - e invero assai complesse - tecniche di incisione e di riproduzione a stampa. Periodizzare può essere in ogni caso di grande aiuto: ciascuna epoca storica sembra infatti connotarsi per l’affermazione, non esclusiva ma certo prevalente, di una precisa categoria di oggetti grafici; cosicché, di secolo in secolo, pare legittimo focalizzare ora il settore editoriale, ora quello strettamente artistico, ora quello pubblicitario, ora quello progettuale. Orientarsi con selettivo discernimento nel ricchissimo universo della produzione di scritture e di segni messo in scena dall’umanità è, insomma, assolutamente necessario; purché, naturalmente, non si manchi di individuare con precisione gli imprescindibili caposaldi che l’evidenza storica ha sancito come tali: in antico, la nascita del libro come prodotto seriale, resa possibile dalla stampa a caratteri mobili, con Gutenberg prima e con Manuzio poi; e, ancora, l’affermazione della pratica incisoria, dal Rinascimento al neoclassicismo, come forma inventiva ma anche e soprattutto divulgativa, vero indispensabile strumento di circolazione di forme e di idee. E nell’era moderna, poi, più serratamente: la cartellonistica pubblicitaria, tra Otto e Novecento, quale ingrediente imprescindibile dei nuovi scenari urbani caratterizzati dai materiali dell’industria, dai mezzi di locomozione veloce, dalla luce elettrica; la comunicazione ideologica e propagandistica delle avanguardie e dei regimi, nella prima metà del XX secolo, dal futurismo alla Grande guerra al Ventennio; la fioritura di studi, scuole e riviste specializzati, dagli anni Trenta, per la stagione più consapevole e sperimentale della progettazione grafica e delle tecniche riproduttive utilizzate nella comunicazione di massa. È dunque con spirito più elettivo che sistematico che si andrà a ripercorrere la storia della grafica illustrata databile tra il 1850 e il 1950, forti dell’opportunità di enucleare, per questo periodo, un’enorme quantità di prodotti - manifesti, soprattutto - eccellenti, straordinariamente innovativi tanto nelle funzioni quanto nei linguaggi. E dando per assodata, una volta per tutte, l’importanza assoluta di quest’arte applicata, che ancora troppo spesso ci si preoccupa di dover emancipare moralmente dalla propria funzionalità, spiccatamente commerciale o più genericamente comunicativa che sia. Giorgio de Chirico, Fiat 1400 (1950). Già il giovane Roberto Longhi si dimostrava conscio del suo imprescindibile valore: nel 1918, affermava sicuro che qualche tempo prima, «nel sottozero inesorabile dell’arte nostrana, i cartellonisti italiani rifugiati all’estero […] erano ancora gli unici connazionali che sapessero fare dei “quadri”» (in “Rassegna Italiana”, I); e anche più tardi, con maggiore distanza storica, non avrebbe mancato di segnalare il predominio grafico del primo Novecento. Ma una simile consapevolezza critica, tanto precoce quanto autorevole, ha finito forse per legittimare un eccessivo uso di categorie analitiche squisitamente pittoriche, nel tentativo, appunto, di nobilitare la grafica come altro da sé. In verità, la natura e la qualità dell’illustrazione d’occasione si sostanziano nel rapporto tra figure e “lettering” e nell’efficacia persuasiva di tale insieme e richiedono pertanto, nell’esegesi critica, non soltanto la conoscenza dei linguaggi figurativi complessivamente intesi ma anche quella degli aspetti tipografici e comunicativi, davvero imprescindibili. Parlano di questo, del resto, anche le biografie d’artista: i grandi della grafica non lo sono quasi mai in pittura, anche se non raramente vi si dedicano in maturità, quasi per estremo liberatorio riscatto dalla creazione finalizzata. L’apporto di Leonetto Cappiello o di Marcello Dudovich - per limitarsi ai cartellonisti già celebrati da Longhi - all’arte pittorica, per esempio, è davvero insignificante; ma la loro grandezza di comunicatori, oggettivata dagli incredibili successi commerciali, è più solida e indiscutibile di qualunque patente d’artista. E capita specularmente, del resto, che l’occasionale impegno pubblicitario di pittori di chiara fama non porti a esiti particolarmente brillanti, o per scarsa dimestichezza con gli strumenti propri della grafica illustrata o per limitata disponibilità ad asservire la propria arte allo spunto d’occasione. Nessuno potrebbe dubitare che un minimo storico sia segnato in tal senso dall’egocentrico e autoreferenziale Giorgio de Chirico: nel 1950, proprio in chiusura del nostro excursus, produrrà per la Fiat 1400 un non-manifesto: un “quadro stampato” con tanto di cornice e di titolazione tradizionale apposta a piè di pagina, come didascalia di museo; totalmente privo, evidentemente, di qualunque “appeal” pubblicitario.