Chissà se un museo dedicato era proprio ciò che aveva in mente Nando Salce (1878-1962), quando, oramai cinquantacinque anni fa, nel dicembre 1962, donò la sua straordinaria collezione di manifesti pubblicitari allo Stato italiano. Di certo, come si evince dal testamento, era perfettamente conscio dell’importanza della raccolta «per la storia degli stili e degli artisti, e per le evoluzioni degli usi e costumi della collettività»; e certamente per questo auspicava che «servisse a studio e conoscenza di studenti, praticanti e amatori delle arti grafiche».
Privo di discendenti diretti che ne rinnovassero la folle vocazione a conservare l’effimero, il trevigiano configurava in tal modo un’eredità
universale, pubblica, liberamente offerta a beneficio del sapere e del fare in un settore tanto specifico quanto sottovalutato; un ambito creativo
strumentale non sempre ugualmente nobile nei valori formali ma sempre prezioso per quelli documentari; un universo vero e attuale di cui non aveva mai
smesso di subire il fascino suasorio, per sessantasette anni, senza soluzione di continuità.