«Le nuove formule pubblicitarie rese necessariamente secondo modi espressivi d’avanguardia […] hanno dato il segno di un nuovo coraggioso dinamismo anche nella nostra azienda che non può restare ancorata a formule inerti e improduttive»(1), riporta nel 1958 l’“house organ” aziendale appena riedito. Certamente la comunicazione visiva del Lanificio Rossi, impresa nata nel 1817(2) e denominata definitivamente Lanerossi nei primi anni Cinquanta, può essere accostata a quella delle più studiate grandi industrie italiane come Olivetti, Pirelli, La Rinascente o Italsider, accomunate dalla ricerca della definizione di uno “stile” capace, in ultima istanza, di far accettare l’ottica del grande numero nonché di mitigare l’impatto, anche sociale, delle loro attività.
E non è un caso che questa affermazione sia comparsa nel periodo probabilmente più “sperimentale” della produzione visiva dell’azienda, quando è diretta da Giuseppe Luraghi - già in Pirelli e in Finmeccanica dove aveva partecipato alla fondazione nel 1953 della rivista “Civiltà delle macchine” - e quando gli strumenti comunicativi sono progettati da grafici come Pino Tovaglia e illustratori come Riccardo Manzi, coadiuvati da fotografi come Mauro Masera e Ugo Mulas, assistiti dall’ufficio Propaganda Lanerossi.
Innanzitutto, la storia degli artefatti visivi con cui Lanerossi ha comunicato nel tempo non è scindibile da quella dell’azienda che, oltre a
distinguersi per innovazione industriale e di prodotto, dipende dal contesto imprenditoriale, economico, politico, tecnologico, del lavoro, sociale e
culturale in cui è inserita.