Ci aveva visto giusto Vittorio Amedeo II quando, all’inizio del Settecento, aveva pensato a Filippo Juvarra per aggiornare il “cantiere” della Certosa reale di Collegno. Il compito non era facile: esigeva un artista innovativo e moderno, capace di ripensare in termini aulici e razionali la silhouette di un monastero fondato, quasi settant’anni prima da Maria Cristina di Francia sulle preesistenze di un’antica “villa di delizie”, strategicamente connessa con il castello di Rivoli e con Torino. Nella prima trasformazione, da luogo di “loisir” a certosa, l’ingegnere-architetto Maurizio Valperga aveva scelto di mediare fra gli ambienti della villa e quelli fondamentali del monastero (il chiostro maggiore con, attorno, le celle dei monaci; il chiostro minore, fulcro per la disposizione degli ambienti dedicati alla chiesa, al refettorio e al capitolo); tuttavia, una cronica carenza di fondi aveva frenato quasi subito i lavori, obbligando i monaci a investire nel solo consolidamento delle strutture esistenti.
L’inizio del XVIII secolo si aprirà, invece, con prospettive ben diverse: affidare l’ampliamento della certosa al pensiero di Juvarra - un “illuminista”
dell’organizzazione spaziale - voleva dire ottenere soluzioni capaci di raggiungere il massimo effetto scenico sfruttando la sapiente applicazione di
ingannevoli escamotage visivi. L’“avanguardismo” juvarriano, che caratterizza il “sistema” portale-atrio della certosa, suggerisce, allora, come il
messinese avesse inteso modellare il sito; e come sarebbe potuto diventare, se ancora una volta non fosse subentrata la mancanza di fondi a
ridimensionare l’intero impianto progettuale, limitando l’esecuzione effettiva al solo ingresso e all’altare conventuale.