Il rosso dei gamberi e del vino segnano la tavola dell’Ultima cena dipinta a fianco dell’altare nella chiesa di Sant’Antonio Abate di Pelugo (Trento) probabilmente da Cristoforo II Baschenis (1472- 1520), collaboratore del cugino Dionisio che nel 1493 firma e data altre opere nell’edificio. I Baschenis si firmavano “de Averara”, dalla frazione del Bergamasco da cui provenivano, ma lavorarono itineranti per più secoli e furono attivi anche in Trentino: il più famoso della famiglia sarebbe stato Evaristo, nel Seicento, con le sue nature morte di soggetto musicale.
I gamberi, che diventano rossi dopo la cottura, sono elemento ricorrente nelle Ultime cene delle chiese dei territori a nord del Po, già visti nella
cappella del Sacro Monte di Varallo (Vercelli), e diffusi dal Piemonte al Friuli: vermigli come il sangue che Cristo verserà e simbolo, col carapace che
si rinnova a ogni stagione, di morte e resurrezione. Diffusi nei corsi d’acqua, erano consueti sulle tavole delle zone ricche di fiumi e considerati
cibo quaresimale ricercato per le mense signorili. Sul piatto di portata quadrato appaiono trote grigie che ciascun commensale ha anche sul proprio
tagliere di legno e che uno degli apostoli sta per tagliare col coltello.
Naturalmente compare anche il pane, immancabile e necessario, insieme al vino, al compiersi dell’atto fondante dell’eucarestia. Le grandi mani che
sottolineano la gestualità, la pittura di gusto popolare, la forzatura prospettica del tavolo, fanno di questo affresco esempio interessante di una
pittura che doveva parlare a un mondo - seppur posto su una strada di comunicazione - tuttavia appartato e fortemente segnato dalle tradizioni locali.