dove la famiglia della moglie possedeva una comoda abitazione. Rimase in Svizzera fino a tutto il 1946, e quegli anni determinarono un sensibile mutamento d’indirizzo nella sua produzione. Varie furono le motivazioni di una fase riconosciuta come assolutamente peculiare dall’artista stesso che la definì «gotica»: l’adattamento che il mutato orizzonte geografico avrebbe comunque imposto, ma che era ulteriormente turbato dalle contingenze storiche; il forzato isolamento che rafforzò la concentrazione già connaturata al suo temperamento, ma favorì anche il contatto con esperienze internazionali(22).
In questi anni Marino è impegnato a individuare nella propria cultura visiva quei dati che meglio potevano consentirgli di tradurre il clima di inquietudine e tragedia dell’Europa in guerra, che inevitabilmente, se pure attutito dal rifugio svizzero, doveva riverberarsi sulle sue riflessioni.
Ritorna il richiamo alla scultura quattrocentesca, ma la composta e compita tornitura volumetrica dei busti di scuola verrocchiesca è sostituita dalle più sofferte testimonianze della ritrattistica donatelliana, dalle quali Marino trasferisce nella figura dell’Arcangelo la fisionomia come affilata da una interna consunzione, e alcuni tratti precisi, quali le arcate sopracciliari, le guance incavate, l’alta fronte bombata.

