Arte contemporanea


Biennale
di Anren

Cristina Baldacci

«Che cosa significa essere contemporanei? », si chiede la Biennale di Anren, antica città della provincia di Sichuan, nella Cina sud-occidentale, in occasione della sua prima edizione. Per rispondere a questo non facile interrogativo la mostra è stata impostata attorno a due principali assi: la relazione passatopresente- futuro - come rivela anche il titolo della rassegna, Today’s Yesterday - e il rapporto arte-territorio.

A dirigere i lavori è Lü Peng, storico dell’arte che insegna all’Istituto d’arte di Sichuan e all’Accademia di Xi’an, e autore di uno dei più accurati resoconti della Storia dell’arte del Ventesimo secolo in Cina (2008). Peng è affiancato da sette curatori che hanno ideato quattro diversi progetti curatoriali, coinvolgendo un centinaio di artisti e un ex sito industriale della città (Ning Liang) come sede principale della mostra. A capo di uno di questi progetti c’è Marco Scotini, unico curatore non autoctono(*) che in Cina organizzerà anche la prossima Biennale di Yinchuan (giugno- settembre 2018).


La prima edizione della Biennale cinese di Anren ruota attorno alla relazione passato-presente-futuro e al rapporto arte-territorio


Con la sua sezione, “The Szechwan Tale: Theatre and History”, Scotini mette a confronto il teatro e la storia traendo ispirazione da due capolavori: L’anima buona di Sezuan (1940), pietra miliare del “teatro epico” di Bertolt Brecht, e Rent Collection Courtyard (1964), il gruppo scultoreo, diventato simbolo della Rivoluzione culturale cinese, che ritrae centoquattordici figure a grandezza naturale sul tema dell’oppressione operaia e della lotta di classe Eseguita dagli scultori dell’Accademia di Chongquing nello stile del realismo socialista, l’opera è conservata proprio ad Anren, ma è stata omaggiata internazionalmente come immagine dal forte valore socio-politico e storico-culturale. Cai Guo-Qiang la reinterpretò alla Biennale di Venezia del 1999 presentandone un parziale remake negli spazi dell’Arsenale. L’installazione Venice’s Rent Collection Courtyard gli valse il Leone d’oro come miglior artista (insieme a Doug Aitken e Shirin Neshat) di quella edizione, che fu la prima delle due consecutive Biennali dirette da Harald Szeemann.