XXI secolo
Intervista a Massimo Piersanti: fotografo di mostre

NATO PER VEDERE,
CHIAMATO A GUARDARE

In conversazione con Massimo Piersanti, una vita tra fotografia, arte, pubblicità e cinema degli ultimi quarant’anni: dagli Incontri internazionali d’arte al remake di Suspiria, tra Roma, Milano, Barcellona e una lunga collaborazione con l’amico Jannis Kounellis.

Valerio Borgonuovo

Caro Massimo, prima di entrare nel merito del tuo percorso professionale (ed esistenziale), vorrei innanzitutto sapere se nasci come fotografo o se ci sei arrivato in altro modo e con altre tempistiche.

No, effettivamente lo sono diventato da adulto sebbene nutrissi già interessi per la letteratura. I primi soggetti furono perlopiù giovani attrici e attori di cinema che frequentavo all’epoca, e che parteciparono a produzioni romane di Andy Warhol e del suo entourage. Per esempio Dalila Di Lazzaro, che recitò nel film Il mostro è in tavola... barone Frankenstein (1974) di Paul Morrissey, film che vidi poi a New York nel 1976 in 3D col sangue che sembrava schizzare in tutta la sala. Oppure Max Delys, divo dei fotoromanzi e amante di un gioielliere di Capri che si chiamava Chantecler. Delys conviveva con un’altra attrice francese di cui ero molto amico, Dominique Darel. Purtroppo la maggior parte di loro finì a piè pari nella droga, conducendo esistenze al limite e talvolta morendo tragicamente come la Darel in un incidente automobilistico in Costa Azzurra nel 1976. Erano a particolari e anche a Roma ricordo che a volte dovevi scavalcare Alighiero Boetti per strada, a Trastevere, perché sotto l’effetto di droghe. Tutto questo per dire che non sono cresciuto in uno studio di posa ma fagogitando libri su libri e mantenendomi come fotografo per la pubblicità.


Presumo che la foto di gruppo Che cosa c’entra la morte? in cui un irriconoscibile Gino de Dominicis pone l’enigmatico interrogativo da cui prende nome lo scatto stesso sia del periodo in cui hai intrapreso la tua collaborazione con l’associazione Incontri internazionali d’arte?

Esattamente, quello scatto fu realizzato a Roma a palazzo Taverna (sede degli Incontri) in occasione di Presenza italiana, iniziativa che ripropose tutti gli artisti italiani che avevano poco prima partecipato alla VII Biennale di Parigi del 1971. Il programma prevedeva ogni sera un incontro-evento a cui fui presente come fotografo. Conobbi tutti lì, e con alcuni di loro si stabilì un’amicizia. Per esempio ero molto legato a Luciano Fabro, di cui ho documentato nel 1990 la mostra alla Fundació Joan Miró di Barcellona. E poi a Jannis Kounellis. Ma anche a Giovanni Anselmo, che considero il vero capostipite di quel modo di fare arte.