Italianissimo, con radici ben piantate nella nostra antica cultura eppure capace di utilizzarla nei modi tipici dell’arte moderna, Marino Marini (1901-1980) resta uno dei campioni del Novecento italiano. Rientra fra i pochi che si vendono per cifre milionarie, anche se il suo trend non segue l’impennata dei vari Fontana e Burri. Marini è universalmente noto per le sue sculture di cavalli con cavaliere che iniziò a creare nella seconda metà degli anni Trenta, osservando un maneggio dalla finestra del suo studio di Monza e ispirandosi a esempi di opere dello stesso soggetto risalenti all’età etrusco-romana e poi medievale.
L’indagine antiretorica di Marini intorno a questa antica icona sfocia, seguendo un percorso tipicamente novecentesco, in un ragionamento strutturale
sulle forme della scultura che lo porta alla semplificazione della composizione e all’accentuazione degli aspetti che legano profondamente un cavallo e
un cavaliere. La complicità fra i due, come ebbe a dire lo stesso artista, va scemando nel tempo e l’uomo appare sempre più incapace di domare la
bestia, che «nella sua angoscia sempre più selvaggia, diventa più rigida, invece di impennarsi».
Sono le opere della fase più matura di questa indagine, databile ai primi anni Cinquanta, che interessano particolarmente i collezionisti, come L’ idea
del cavaliere del 1955. La peculiarità della scultura risiede innanzitutto nella cromia rossa e nera, che ricorda direttamente le terrecotte etrusche.