XX secolo
Il surrealismo di Unica Zürn

IL DIARIO
DELLA FOLLIA

Le sue opere sono lo specchio della sua condizione di vita, segnata tragicamente dalla schizofrenia. Unica Zürn, introdotta nell’ambiente del surrealismo francese da Hans Bellmer, non ha potuto fare a meno di trasmettere, nella sua arte, l’inquietudine e la sofferenza provate per la terribile malattia. Un’arte dove soprattutto il disegno rappresenta la voce delle sue angosce e il riparo della sua anima.

Sarah Palermo

Come nell’intimità di un diario, l’incessante groviglio di immagini, corpi e occhi raccontano l’anima di Unica Zürn (1916-1970) artista tedesca nota negli ambienti culturali francesi accanto al compagno artista Hans Bellmer che l’attirò nella cerchia del surrealismo, movimento teorizzato dal poeta André Breton negli anni Venti.

Nata a Grunewald, un quartiere della Berlino più borghese e colta, Unica Zürn si sposa nel 1942 con Erich Laupenmühlen, un commerciante da cui ha due figli, Katrin e Christian, di cui perderà la custodia dopo il divorzio nel 1949. Arriva nel 1953 a Parigi dove s’immerge nell’ambiente artistico, stringe amicizia con Max Ernst ed espone con Sebastian Matta, Victor Brauner e Henri Michaux. Scoprirà solo allora il fascino dell’arte surrealista e del disegno automatico, terreno di ricerca che l’accompagnerà insieme alla sua passione per gli anagrammi poetici, singolare forma di poesia generata dalla scomposizione del primo verso.
L’arte combinatoria delle sue poesie e dei suoi disegni è dettata dalla forte malattia che la attanaglia, la schizofrenia, che in più di un’occasione la costringe a lunghi e dolorosi ricoveri presso ospedali psichiatrici come il Wittenau di Berlino e la Maison Blanche di Parigi.
Le tematiche che trasmettono la singolarità della sua geometria mentale e della sua psiche sviluppano in una logica propria e in un’armonia grafica che, nonostante non obbedisca a ristrette regole compositive, segue una sofisticata impronta stilistica.

Fantasiose architetture mentali che volano entro spazi ideali
e veritieri come prigioni



I gesti essenziali del disegno, compiuti senza colature né ripensamenti con l’utilizzo di una punta di penna non troppo spessa con cui crea un tratto fragile e fine, la guidano nell’elaborazione di fantasiose architetture mentali che volano entro spazi ideali e veritieri come prigioni, castelli e vorticosi labirinti, netto riflesso dei luoghi di ricovero dove è stata assistita per diverso tempo.
Le sue opere, fedele risultato del contatto con il mondo surrealista del disegno automatico di André Masson e della profusione di immaginarie composizioni in una condizione allucinata, sono spesso eseguite con materiali come inchiostro di china, gouache e matita su pagine di taccuini, quaderni e su fogli da libretti di solfeggi e di opere musicali, doni di amici come sostegno quotidiano durante le sue degenze.
Il disegno, testimonianza allucinatoria dell’esperienza di vita di Unica Zürn, è l’immagine manifesta dei suoi desideri che si scatenano in complessi intrecci che racchiudono i ricordi di paura e di angoscia della sua infanzia risvegliati durante i numerosi ricoveri; situazione in cui estenuanti attese e stato di immobilità appaiono le condizioni necessarie alla sua arte.
Il ricordo, tema fondamentale, comunica l’assenza della prima figura maschile della sua vita, il padre, immagine vissuta e associata alla purezza di un fiore di gelsomino(1).


Figure zoomorfe
e antropomorfe con occhi rappresentati
e moltiplicati all'infinito



L’assenza della figura paterna - concepita come essere candido e contraltare di Hans Bellmer, suo uomo e guida - la condurrà a delle conseguenze disastrose dal punto di vista psichico. Bellmer è àncora di salvezza ma anche testimone della malattia della compagna, che rende vittima delle sue morbose ossessioni in combinazioni anatomiche che ricerca come in un anagramma in bambole-feticcio messe in scena nel sinistro parco giochi di Les Jeux de la Poupée(2).


Man Ray, Unica Zürn (1965).

Senza titolo, da Album Sainte-Anne (1961).