Studi e riscoperte
L'illusione ottica tra arte, poesia, filosofia e scienza

IL CIELO
IN UNA POZZANGHERA

Qual è il rapporto tra il nostro occhio e ciò che vediamo? La vista ci garantisce di per sé una fedele registrazione del dato sensibile?
Partendo dal IV libro del De rerum natura di Lucrezio scopriamo come funziona la visione e a quali inganni può andare incontro. Osservando le nuvole, il sole, le stelle, per esempio, oppure le immagini
riflesse in una pozza d’acqua.

Rossana Mugellesi, Stefania Landucci

Nel IV libro del De rerum natura il poeta latino Lucrezio si sofferma in chiave filosofica sul senso della vista e in particolare sul rapporto tra la verità della percezione sensibile e la sua falsità, ovvero l’illusione ottica. Si ha la vista perché dalla superficie dei corpi si distaccano delle particelle che tramite l’aria raggiungono gli occhi e questi, a loro volta, forniscono i dati della visione alla “ratio” (o anche “animus”): certe “letture ingannevoli” sono attribuibili alla perturbazione che l’aria, per cause varie, imprime alle particelle mentre l’attraversano. Questa la teoria lucreziana che, dopo un’attenta disamina della natura fisica della visione, si caratterizza per una suggestiva “visual imagery”, intendendo con tale espressione il repertorio di immagini di un poeta. Le nuvole come giganti, mostri, belve che si formano in mezzo al cielo, le torri quadrate che da lontano sembrano rotonde, il sole nascente che sembra uscire dai monti e il sole calante che quasi si tuffa nel mare, le stelle di notte che sembrano scorrere dietro le nuvole e, dopo la forza epica rappresentativa della vastità di terra mare e cielo, l’immagine del mondo aereo che si specchia in una pozzanghera: «Ma una pozzanghera d’acqua non più profonda di un dito,/che stagna tra le pietre per le vie lastricate,/ offre una vista che si inabissa tanto a fondo sotto terra,/quanto la profonda voragine del cielo si stende su dalla terra;/così che ti sembra di vedere le nuvole e scorgere il cielo, corpi mirabilmente immersi sotto terra nel cielo» (414-419).
La piccola pozzanghera raccoglie in sé un mondo intero che quasi magicamente si configura come duplicazione del mondo superiore e, fatto ancor più straordinario, ripropone un cielo sotto terra, financo una sorta di ribaltamento e di con-fusione della cosmografia antica(1). E così anche il cielo diventa arte: «Anche il cielo è un “ágalma” secondo Plotino: “Un grande simulacro, bello e animato e prodotto dall’arte di Efesto”. Il cielo è dunque un’opera d’arte sottilmente ornata: “Gli astri scintillano sul suo volto, altri sul petto, altri dove conveniva che fossero posti”. Così, anche nella sua espansione indomabile, “ágalma” è pur sempre una statua. E questo permette anche di guardare una statua come se comprendesse in sé il cielo»(2).



Henri Cartier-Bresson, Place de l’Europe, Gare Saint-Lazare, Parigi, Francia 1932.