CATALOGHI E LIBRI NOVEMBRE 2017 «Nata povera, divenuta nobile, morta in miseria, in circostanze mai chiarite». Chi era Elsa von Freytag- Loringhoven? Agli inizi del Novecento si vestiva in modo, a dir poco, stravagante, talvolta con due teiere sul seno, e pare che abbia perfino ispirato l’amico Duchamp, che di lei diceva che non era futurista bensì il «futuro». E cosa puoi trovare a Bennekom, nel Sud dei Paesi Bassi? Chi c’è stato, ha per caso notato una «piccola fortezza di due piani », ideata in «ammirevole stile funzionalista»? Fu abitata da Dick Ket (mai sentito nominare?) che non ne uscì più, dopo il 1930. Sono due delle tante storie di artisti geniali, emarginati, sfortunati, sofferenti di malattie fisiche e/o mentali, alcuni uccisi dai nazisti, «che non troverete nei manuali di storia dell’arte», come recita il sottotitolo di questo libro assai originale. Alcuni di questi (pochi in verità) sono forse noti anche al lettore, che magari ne ha vista qualche opera in tv o in un museo: come il ritratto, quasi smaltato, di Gino Rossi, o le crude nature morte di Cagnaccio di San Pietro. Qualcuno forse conosce i progetti di città del futuro di Mario Chiattone (comunque meno noto dell’amico Sant’Elia) o l’elegante elefantino di Rembrandt Bugatti, che dopo il suicidio il fratello Ettore utilizzerà come scultoreo logo di una costosa automobile. Ma gli altri... Le loro vicende, tutte storicamente attendibili, sono descritte da Alfredo Accatino con molta verità e solo qualche accento fantasioso che non guasta, e che fa parte della sua personalità, del suo essere brillante creativo di fama. Viene così a ricrearsi in questo volume (al quale ci auguriamo seguano altri), una storia dell’arte alternativa che piacerebbe a Franco Maria Ricci. Accatino si definisce collezionista e viaggiatore compulsivo, anche del web. Il suo è uno stile vorticoso, senza peli sulla lingua, che scava nell’intimità di uomini e donne del Novecento, europei e non. In tale museo immaginario (titolo del suo blog e della sua rubrica su “Art e Dossier”) è meglio entrare un po’ per volta, magari leggendo un racconto al giorno. Anche perché per ciascuna figura così ben rievocata, vien subito da volerne sapere di più. Ammesso che sia possibile. OUTISIDER Alfredo Accatino 208 pp., ill. colore e b.n. Giunti, Firenze 2017 € 29 CASE IN GIAPPONE Ognuno ha la sua casa ideale. Non so voi, io sogno spesso qualcosa che somiglia alla Glass House di Johnson, talvolta però mi capita di desiderare il “cabanon” di Le Corbusier a Cap Martin, o Falling Water di Wright. Se potessi scegliere però vorrei la villa atelier, magicamente fatta di silenzi e vuoti, luce e vetrate, disegnata da un architetto giapponese, Shinichi Ogawa. Ricorda i templi di Kyoto e le ville imperiali, gli spazi chiari che invitano alla concentrazione. Si trova presso i monti Suzuka, ed è illustrata nella nuova edizione aggiornata del libro di Francesca Chiorino sulle più belle, recenti case giapponesi: raffinato e ricco di documentazione, il volume mostra non solo atmosfere tipicamente zen ma pure soluzioni innovative, che tengono di conto il rapporto uomo-ambientenatura- città, in un paese notoriamente sovrappopolato. «Fragili e transitorie, intensamente umane», sono case disegnate sia da archistar come Ando e Isozaki,sia da giovani a noi meno noti. Francesca Chiorino Electa, Milano 2017 224 pp., 380 ill. colore e b.n. € 60 MUSEO PIRANESI Questo libro onora l’editoria italiana, non solo quella d’arte, e anche l’Ordine dei giornalisti, del quale oggi non pochi iscritti, a fronte di tanti bravi esponenti, sarebbe meglio non facessero parte (soprattutto per superficialità). Invece Pierluigi Panza scrive bene, e documentato, di estetica, arte, beni culturali, mostre, sul “Corriere della Sera”. A leggerlo non si fatica a credere che abbia due lauree, un dottorato, e pure insegni all’Università. Se c’eravamo dispiaciuti che nel 2009 il suo bel libro-romanzo-biografia sulla vita scellerata di Giovan Battista Piranesi ( , Bompiani) non avesse vinto il Campiello, dove arrivò finalista, adesso si resta allibiti e felici per questa sua immensa fatica piranesiana, frutto di decenni di indagini fra musei, biblioteche, archivi, collezioni di tutto il mondo. Un libro che non è sfoggio di erudizione, non è appariscente, è sostanza e magnifica passione: aiuterà archeologi, studiosi del Settecento, dei rapporti con l’antico, collezionisti, curatori e direttori di musei, a far luce su ciò che ancora non si conosceva dell’attività proteiforme del geniale ed eccentrico Piranesi: non solo un “irregolare dell’arte”, disegnatore e incisore di carceri, antichità e rovine, ma antiquario lui stesso. E restauratore, e in certo qual modo falsificatore, anche, di pezzi antichi. Con acribia certosina Panza ha ricreato, pezzo per pezzo, una buona parte (duecentossettanta frammenti) dell’ideale Museo piranesiano: sono i marmi antichi da poco dissotterrati dalle rovine dell’Urbe che via via passavano nella sua casa romana di palazzo Tonati e nelle botteghe artigiane di via Gregoriana, per essere ricomposti, restaurati, integrati, e venduti a un mercato fiorente, soprattutto anglosassone, ma non solo. Alcuni si riconoscono nelle sue incisioni, altri furono venduti senza mai esser da lui raffigurati. Oggi, oltre che in Vaticano (il papa aveva diritto di prelazione), sono in quarantatre musei e collezioni (diciannove di privati inglesi). Propongo il premio Oscar per l’editoria e la cultura, che ancora non esiste. Intanto, la ricerca di Panza ha vinto l’Europa Nostra Award 2017. È il minimo che si merita. La Croce e la sfinge Pierluigi Panza Skira, Ginevra-Milano 2017 582 pp., oltre 600 ill. b.n. € 45 Come si fa a recensire Philippe Daverio, nostro amato, poliglotta, simpaticissimo e celebre direttore? L’unica via possibile, per non scomparire al confronto col suo linguaggio così brillante, è quello, io credo, di rendere omaggio alla sua fertile penna con le sue stesse parole. Prima, però, ricordo che il libro costituisce la seconda puntata, molto accresciuta, di una selezione di articoli usciti su “Art e Dossier”. La precedente edizione era del 2012, mentre i nuovi interventi giungono al 2017. Daverio riesce a passare da un argomento all’altro con quella magistrale semplicità che cattura grande audience. Ci guida nel più remoto passato (ha una conoscenza storica eccellente) ma commenta anche eventi vicinissimi a noi; compresi, in taluni casi, gli episodi più oscuri della storia dell’umanità, che giustamente condanna, come l’assassinio di Khaled Asaad, eroico custode di Palmira, nell’editoriale : «Ci sono momenti terribili nei quali gli esseri umani tornano alle loro origini tribali e si sbranano. Tutto il percorso delle civiltà è volto a evitarlo. Di fronte ai crimini di Palmira, a nulla vale appellarsi ad Averroè» ci dice. E giacché si accennava al linguaggio, ecco l’incipit di un altro suo editoriale: «L’intelligenza umana inventa il segno, poi lo articola e lo combina; così forma il linguaggio. Su questa constatazione basilare si aprono mille quesiti. Il volo delle api è in gran parte semiotico, come lo sono certi balletti, ovviamente più primitivi, dei pesci tropicali quando vanno in amore o quando si sfidano. Le api e i pesci sanno quindi comunicare; oppure scrivono senza sapere di farlo ma con un ottimo risultato ». Oppure sull’arte tribale: «Alcune testimonianze artistiche tra XIX e XX secolo, nell’ambito delle culture dei nativi nordamericani, mostrano la nascita di un linguaggio figurativo che trasporta su carta, spesso su quadernetti da ufficio, le raffigurazioni tradizionali: è la Ledger Art». I suoi sono deliziosi “carambolages”, termine francese intraducibile. Com’è Daverio. L’ARTE DI GUARDARE L’ARTE Fermiamo gli assassini della memoria Philippe Daverio Giunti, Firenze 2017 192 pp., ill. colore e b.n. € 18