e Disney finì, poi, per scusarsi pubblicamente. In realtà ci sarebbero voluti non meno di trent’anni prima che il mondo, affascinato dalle luci psichedeliche degli anni Settanta e dall’Optical Art, riuscisse a capire che quello era un capolavoro, come il remake voluto da Roy Edward Disney (nipote di Walt) nel 2000 ha, finalmente, adeguatamente sottolineato. Va detto che l’enorme delusione non fu senza conseguenze sulle scelte di Walt Disney il quale, abbandonata l’idea di fare dell’animazione un’arte sublime, autonoma, che potesse rivaleggiare con la musica, la pittura e la poesia, ripiegò su realizzazioni d’impostazione più tradizionale, ma non per questo meno importanti come Dumbo (1941) e Bambi (1942). Nel primo si recuperavano, anzi, alcuni elementi di Fantasia come nella sequenza degli incubi vissuti da un Dumbo involontariamente ubriaco, con elefanti rosa trasformati in una ridda di esseri inquietanti e comici insieme. Bambi, invece, era un progetto del 1937, sospeso momentaneamente per permettere agli animatori d’imparare a restituire le movenze di veri animali e non di caricature di questi. Ispirato al romanzo Bambi, a Life in the Woods, scritto dall’austriaco Felix Salten nel 1923, è un altro dei capolavori di Disney; il primo nel quale non ci sono protagonisti umani. Sebbene molto apprezzato, non fu un successo economico, complice lo scenario di guerra in Europa che aveva chiuso i mercati. Anche se senza responsabilità diretta, l’insuccesso influì sulle nuove scelte della Disney che andarono verso prodotti che avessero una precisa connotazione americana, per essere graditi al mercato interno.

