Non si pensi che questo breve testo dedicato al rapporto fra la grande arte della Disney e l’anatomia intesa come disciplina artistica per la rappresentazione dell’immagine dell’uomo, oppure di quella antropomorfa dei vari personaggi a cominciare da Topolino, sia frutto dell’interesse cervellotico e maniacale per simili temi di chi ha scritto queste pagine. Al contrario, nell’ambito dell’animazione, lo studio della figura, delle sue proporzioni e del movimento, è materia quotidiana di confronto per tutti gli operatori che progettano, disegnano e animano un personaggio(1). Del resto, se da una parte questo interesse si manifestava fin dal 1929 con il tentativo di rappresentare gli scheletri in movimento nella prima delle Silly Simphony intitolata The Skeleton Dance - con soluzioni d’assoluta avanguardia per l’epoca -, dall’altra è da sottolineare quale siano state le problematiche a cui si fece via via fronte nel processo di miglioramento della grafica di animazione. In questo senso, Mickey Mouse fu un grande banco di prova. Il personaggio, fin dall’inizio, si presentava al pubblico con un potenziale espressivo ben più vario ed efficace tanto di Oswald quanto, per esempio, di Felix Cat, per restar nello stesso ambito “animalistico”. Lo dimostra bene un fotogramma come quello di Steamboat Willie nel quale Mickey fischietta tutto soddisfatto al timone del vaporetto e gonfia le gote protundendo le labbra. Una conformazione anatomica ben precisa, resa in maniera assai efficace grazie alla stilizzazione dei disegnatori(2). L’altro tema da affrontare era quello di migliorare l’aspetto di Mickey Mouse per renderlo più accattivante e simpatico. Quando uscì sugli schermi, si è già detto, aveva un’aria spigolosa. Per questo, nel 1938, a poco meno di dieci anni dal successo iniziale, Fred Moore, uno dei grandi disegnatori Disney, ebbe l’incarico di rimodellarlo; anche se migliorie ne erano state già fatte nel corso del tempo. Fu questa, però, anche l’occasione per sondarne e migliorarne le capacità espressive come dimostrano gli schizzi che ancora si conservano. Moore fece un lavoro egregio rendendo Topolino più morbido e, soprattutto, nelle proporzioni e nella conformazione più simile a un bambino. Si finiva, così, per solleticare quell’istintiva disposizione positiva che emerge naturalmente osservando non solo neonati o bimbi, ma pure i piccoli di tutte le specie evolute, perfino di rettili come tartarughe o coccodrilli. È quello che gli etologi come John Bowlby chiamarono “effetto cucciolo”(3). Testa tonda, occhi grandi e naso piccolo rendono il bambino simpatico, mentre corpo morbido e corto, arti brevi e soffici inducono naturalmente tenerezza e senso di protezione in chi guarda, inibendo l’aggressività dell’adulto. Il Mickey Mouse di Fred Moore rispondeva perfettamente a questi canoni.
Se poi si avrà la bontà di confrontare il personaggio con un bambino in carne e ossa, o una bambina, se femminuccia, magari vestita da Minnie, si vedrà che l’effetto è del tutto sovrapponibile. Alla sua prima uscita, il nostro eroe sfoggiava zampette che erano solo un po’ più corte di quelle del “cugino” Oswald che, in quanto coniglio, doveva averle ben più sviluppate. Anche le mani erano una sorta di manopola informe e nera - come quella del Gatto Felix - che, all’occorrenza, mostrava le dita. Si trattava di soluzioni rudimentali che ben presto lasciarono il posto a scarpe, ampiamente giustificate dalla presenza dei calzoncini, e a guanti.
Fu quella dei guanti che coprivano una mano a quattro dita una soluzione geniale che semplificava e chiarificava il disegno senza mortificare l’espressività della mano(4). Non per nulla fu adottata dalla quasi totalità dei “cartoonists”, oltre che dall’intera banda Disney (paperi esclusi). Nel corso degli anni, affiancando alla produzione di tipi antropomorfi, caricaturali e stilizzati come potevano essere Goofy o Donald Duck, quella di personaggi completamente umani, come Biancaneve o Alice, l’interesse verso l’anatomia crebbe. Del resto un primo esperimento, non troppo riuscito per la verità, risale già al 1934, quando uscì il cortometraggio Goddess of Spring (“La dea della primavera”). Il film deve considerarsi una sorta di prova generale per Biancaneve e i sette nani, giacché i disegnatori, sulla base degli errori commessi allora, furono mandati a scuola di anatomia artistica per imparare a rendere più naturali i movimenti che risultavano poco soddisfacenti in quel filmato. Mai investimento fu più redditizio: i personaggi della Disney acquisirono una maturità e una profondità che si riverberò perfino sulle scelte di fisionomia. Basterà confrontare il volto della fata Smemorina (la Fairy Godmother della versione originale) di Cenerentola, uscita dalla matita di Milt Kahl, con quello di Malefica nella Bella addormentata, frutto dell’abilità di Marc Davis, per capire quanto fosse profonda la comprensione del linguaggio corporeo: rassicurante, rotondo e morbido il volto della prima; inquietante, triangolare e ossuto quello della seconda(5). Non di rado, però, la scelta della fisionomia dei personaggi si andò sempre più integrando con quella degli attori che avrebbero dato loro la voce. Non sembri questo un vezzo. Si trattava, invece, del tentativo - riuscito - di completare la personalità della figura; soprattutto se questa era un oggetto antropomorfizzato, come nel caso della teiera (Mrs Brick della versione italiana) del film La Bella e la Bestia, che ha il volto di Angela Lansbury che la doppiava nell’edizione originale. Il medesimo metodo ha guidato la costruzione della fisionomia di Tockins lo svegliarino e Lumière il candelabro, esemplati sui volti di David Ogden Stiers e Jerry Orbach che hanno dato la voce - rispettivamente - allo svegliarino e al candelabro. Non diversamente, nel film Cars motori ruggenti, del 2006, il protagonista Saetta Mc Queen e il suo amico Carl Attrezzi, Cricchetto, nella versione italiana, hanno la fisionomia di Owen Wilson e Larry the Cable Guy che hanno fornito loro la voce. Con l’avvento di quella che si può chiamare, senza tema di smentita, “l’era digitale” del cinema (e non solo), ci si è abbandonati, poi, a forme di sperimentazione del linguaggio anatomico sempre più ardite, come nel caso di Monster & Co. e in Cattivissimo me del 2010, dove personaggi come i “minions” Stuart e Bob hanno messo a dura prova i canoni della correttezza e della simmetria anatomici, ma non quelli della simpatia.







