Storie a strisce
I MOLTI VOLTI
DI MANARA
di Sergio Rossi
pochi autori italiani dividono i lettori come Milo Manara (1945). Banale disegnatore di donne (le famose “donnine
di Manara”) o virtuoso del corpo umano? Autore di storie pornografiche o di classici del fumetto? Immagino che lo stesso Manara riderebbe di fronte
a queste domande e, con l’ironia e la modestia che da sempre lo contraddistingue (ed è davvero così), direbbe che tutte queste opzioni potrebbero
essere vere. Anche il giudizio di chi scrive è diviso. Il talento di Manara nel disegno è indiscutibile, come dimostrano le scene di massa nello
straordinario Tutto ricominciò con un’estate indiana su testi di Hugo Pratt, così come la sua conoscenza del linguaggio del fumetto, al punto da
farlo diventare uno dei protagonisti dei primi due romanzi dedicati al suo alter ego Giuseppe Bergman (HP e Giuseppe Bergman e Le avventure
africane di Giuseppe Bergman): due storie in cui il protagonista parla con l’autore perché consapevole di essere un personaggio inventato. Ma
altrettanto indiscutibile è la sua vasta produzione di illustrazioni e storie erotiche, più o meno riuscite, più o meno tutte uguali, che però lo
hanno fatto diventare uno dei fumettisti più famosi al mondo.
E quindi? Quindi diciamo che la carriera di Manara è lunga e complessa, e ha
toccato tutti o quasi i generi narrativi. Inizia infatti a disegnare giovanissimo, alla fine degli anni Sessanta, per le prime testate nere ed
erotiche (“Genius”, “Jolanda de Almaviva”) che oggi non scandalizzerebbero nessuno. Poi, dopo il documentario a fumetti Un fascio di bombe
(testi di Alfredo Castelli e Mario Gomboli) sulla strage di piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969, passa al “Corriere dei ragazzi” per cui
disegna la serie La parola alla giuria su testi di Mino Milani, dove in ogni episodio viene “processato” un controverso personaggio della
Storia. Pubblica poi su “Linus”, su testi di Silverio Pisu, i due romanzi a fumetti Alessio il borghese rivoluzionario (davvero
rivoluzionario nella struttura narrativa), e Lo scimmiotto, tratto da un classico della letteratura cinese. Grazie alla segnalazione di Hugo Pratt
realizza per la prestigiosa rivista francese (“À suivre”) la già citata prima storia di Giuseppe Bergman e, subito dopo, disegna il fantastico
L’uomo delle nevi (testo di Alfredo Castelli), il western Quattro dita (L’uomo di carta) e una serie di storie brevi che ne dimostrano le notevoli capacità
narrative. Ma è la storia erotica Il gioco, che esce nel 1982 nella rivista “Playmen”, che scompagina la sua carriera: il fumetto viene
tradotto in tutto il mondo e ne viene ricavato un film (per fortuna dimenticato). Da allora è come se esistessero due Manara: quello delle donnine,
richieste da editori e lettori di tutto il mondo, e quello che continua a produrre storie nelle quali il sesso è una componente come le altre, e che
spesso si avvalgono di testi scritti da lui stesso o di collaborazioni illustri come Hugo Pratt (il già citato
Tutto ricominciò con un’estate indiana e Il gaucho), Federico Fellini (Il viaggio di G. Mastorna), Vincenzo Cerami (Gli occhi di Pandora) e Alejandro Jodorowsky (I Borgia), spesso con risultati altalenanti.
Una buona occasione per fare il punto su questo autore è la
grande mostra antologica che è stata inaugurata lo scorso 22 settembre nel bellissimo Palazzo Pallavicini in via San Felice 24 a Bologna (Nel segno di Manara, a cura di Claudio Curcio, fino al 21 gennaio 2018): sono esposte centocinquanta opere che mettono in scena molta della produzione di questo
autore, dagli esordi fino alle opere più recenti, tra cui una serie di disegni di Brigitte Bardot per una statua dell’attrice, che sarà realizzata
in Francia, e dodici pagine inedite del secondo capitolo della biografia del pittore Caravaggio Chi scrive confessa che dopo la mostra il
sentimento contraddittorio è rimasto: se da un lato è innegabile la forza espressiva e narrativa di alcuni suoi lavori, ormai diventati dei classici
della narrativa disegnata (per esempio la storia breve su Corto Maltese), dall’altro c’è il rimpianto di vedere un autore come imprigionato nel suo
stesso successo, quasi fosse costretto a ripetere lo stesso tema cambiando, al limite, il colore dei capelli della bellezza ritratta di turno.
Eppure, anche in queste opere è evidente il lavoro, il talento, l’impegno. E quindi? E quindi il mistero rimane.

