Arte contemporanea di bamako gli incontri di Cristina Baldacci s i intitola la prossima Biennale di fotografia africana al centro dei Rencontres de Bamako, che il 2 dicembre inaugurano la loro undicesima edizione nella capitale del Mali. La manifestazione, che esiste dal 1994 grazie a una collaborazione tra l’Istituto francese e il Ministero della cultura del Mali, e che ha fatto conoscere al pubblico internazionale nomi come Malick Sidibé e Pieter Hugo, è affidata quest’anno alla direzione artistica di Marie-Ann Yemsi. La curatrice tedesco-camerunese è conosciuta per aver organizzato la mostra , al BRASS - Centre Culturel de Forest in Belgio (2015), e la partecipazione dell’Africa come paese ospite d’onore ad Art Paris Art Fair 2017. Ai quaranta fotografi e videoartisti selezionati tramite una “call” aperta sia a chi vive e lavora nel continente sia a coloro che sono emigrati, Yemsi ha chiesto di riflettere sul motivo guida della Biennale. Punto di partenza è la definizione di “afrotopia” data dall’economista e intellettuale senegalese Felwine Sarr, che, nell’omonimo saggio del 2016, la descrive come «un’utopia attiva, il cui compito è trovare e fecondare i vasti spazi di possibilità nella realtà dell’Africa di oggi». Dopo la cancellazione dell’incontro del 2013, dovuto alla rivolta dei nazionalisti Tuareg contro il governo centrale; la tragica esperienza del 2015, quando poco dopo l’apertura della Biennale seguì l’atto terroristico in uno degli hotel turistici di Bamako; e il nuovo attentato contro l’Occidente avvenuto a luglio scorso, il desiderio e bisogno di costruire per il Mali e l’Africa intera un possibile futuro, basato su una forte e condivisa identità sociopolitica e civile-culturale, risulta ancora più vivo e urgente. Afrotopia Odyssées africaines Accanto alla mostra “panafricana” curata da Yemsi, che si ispira anche all’idea di «produttività poetica della memoria e del religioso» introdotta da un altro nome illustre del pensiero postcoloniale africano, Achille Mbembe (si veda il suo , 2010), gli eventi che completano il programma degli incontri di Bamako ne sviluppano ulteriormente il tema conduttore tra riletture storiche e visioni futuristiche. Al Museo nazionale del Mali, sede della mostra principale, verrà presentata un’altra collettiva, , in forma di una “storia minore” che segue il filo rosso della musica come strumento artistico e politico-sociale. Al Musée du District si terrà una grande retrospettiva dedicata al fotografo ghanese James Barnor, che tra anni Cinquanta e Ottanta ha immortalato la vita nel suo paese scattandone (negli anni Settanta) le prime immagini a colori. Mentre all’Institut français de Bamako, indagherà il rapporto con “l’altro da sé”, inteso non solo come cittadino non-africano ma anche come connazionale costretto a emigrare e a fare i conti con una nuova realtà. Infine, la Galerie Médina ospiterà la collettiva , con i lavori di Samuel Fosso, Kadara Enyeasi, Osborne Macharia e Bob Mu chiri Njenga. Il titolo si riferisce a un’espressione introdotta a partire dagli anni Novanta per definire un certo tipo di estetica della diaspora africana, tra immaginazione storica, realismo magico e “science fiction” (Michel Basquiat, Chris Ofili e Rammellzee sono tra i nomi celebri associati all’afrofuturismo). Sortir de la grande nuit. Essai sur l’Afrique décolonisée Independence Remixed La part de l’autre Afrofuturism Fototala King Massassy, Anarchie productive (2017).