la parola “Secessione” è divenuta nel corso degli anni, come già sostenuto dai suoi creatori viennesi, una sorta
di “Zauberwort”, una parola magica, quasi un aggettivo klimtiano. Certamente fu a Vienna che il termine Secessione acquisì un valore mistico per il
supporto intellettuale di scrittori e poeti come Rainer Maria Rilke e Hugo von Hofmannsthal, ma è noto che, da Monaco prima (1892) e da Vienna poi
(1897), il dibattito secessionista si allargò anche in città come Berlino, Darmstadt, Lipsia, e Dresda e, superando i confini tedeschi, si propagò a
Praga (“Secese”), Budapest (“Magyar Szecesszió”), Sofia, Varsavia (“Secesja”), Belgrado, Zagabria (“Secesija”) diffondendo infine anche in Italia un
gusto più irrigidito delle fluenze dell’Art Nouveau francese e anglosassone.
Lo scopo della mostra di Rovigo, Secessioni Europee, Monaco
Vienna, Praga, Roma, allestita a Palazzo Roverella (fino al 21 gennaio 2018), non risiede tanto nel processo d’identificazione delle fonti della
modernità, a partire dal tracciamento delle influenze sulle singole opere, ma piuttosto nella mappatura di quel terreno accidentato che era la
pratica artistica di fine XIX secolo percorsa da incoerenti echi del passato e, al contempo, da una appassionata attenzione alle espressioni più
innovative che costituirono una premessa necessaria per il futuro sviluppo delle avanguardie storiche, ma della linea figurativa, seppure con
intricati e più deformati percorsi del segno.
Certamente, in Italia, nel corso degli ultimi decenni sono state allestite numerose mostre su
Klimt e sulla Secessione di Vienna tra cui la fondamentale Le arti a Vienna. Dalla secessione alla caduta dell’impero asburgico, allestita a Milano
a Palazzo Grassi nell’ormai lontano 1984 e quella più recente, nel 2012, Gustav Klimt nel segno di Hoffmann e della Secessione (Venezia, Museo
Correr), che ha avuto il merito di approfondire, quantomeno, il settore della grafica quasi sempre trascurato in questo genere di mostre.
Per
quanto riguarda la Secessione di Monaco le indagini italiane si sono limitate al suo principale protagonista Franz von Stuck cui sono state dedicate
due mostre, Franz von Stuck. Lucifero moderno nel 2006- 2007 (Trento, Palazzo delle albere, sede fino al 2010 del Mart - Museo d’arte moderna e
contemporanea di Trento e Rovereto) e la più lontana Franz von Stück e l’Accademia di Monaco da Kandinskij ad Albers nel 1990 (Bolzano, Museion -
Museo d’arte moderna e contemporanea), contrappuntata quest’ultima dalle opere dei suoi allievi Klee e Kandinskij, che dominano in maniera meno
problematica il nostro canone cosiddetto “moderno”, quasi a cercare una giustificazione all’indagine su un artista noto perlopiù agli addetti ai
lavori.
Restano invece quasi completamente relegate in ambito ceco le ricerche sui movimenti secessionisti praghesi anche se Enrico Crispolti e la Calcografica - Istituto nazionale per la grafica di Roma, negli anni Settanta, dedicarono articoli e mostre alla grafica boema.
Più consistenti sono invece i contributi sulla Secessione romana, a partire dalle mostre Secessione romana. 1913-1916 (Roma, Palazzo Venezia, Quadriennale, 1987) e Secessione e Avanguardia. L’arte in Italia prima della Grande Guerra 1905-1915 (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, 2014- 2015), che hanno indagato il piano politico e le strutture culturali evidenziando non soltanto gli scontri, ma anche gli ambigui rapporti, le corrispondenze e le evidenti connessioni fra due tendenze, solo in apparenza contrapposte.
La situazione all’estero è pressoché invariata. Numerose mostre sono state allestite sui singoli episodi, ma a esclusione dell’esposizione presso la Haus der Kunst di Monaco nel 1964, Secession. Europäische Kunst um die Jahrhundertwende, a cura di Siegfried Wichmann, nessuna ha gettato un complessivo sguardo sui vari movimenti secessionisti centroeuropei. Le ragioni di questa lacuna vanno ricercate, in primis, nella difficoltà di circoscrivere ciascuna esperienza all’interno di una precisa formula stilistica non solo per le tante anime che incoraggiarono questi movimenti, ma anche per le connessioni che si stabilirono tra le Secessioni sorte nelle diverse capitali europee a causa di quel «nuovo sentimento della vita», per usare un’espressione di Benjamin, che imponeva il dovere morale dello scambio culturale. La maggior parte degli artisti che espose alla Secessione di Berlino partecipava, per esempio, anche alle mostre allestite dalla consorella monacense, così come Vienna ospitava Segantini, Von Stuck, Klinger e il boemo Orlik, mentre Gustav Klimt e Egon Schiele esponevano alle mostre della Secessione romana.
A Rovigo abbiamo dunque proposto un focus su quattro fra i principali movimenti secessionisti mettendone a confronto le singole peculiarità, concentrandoci piuttosto sul carattere nazionale che non sugli scambi, seppur esistenti, proprio per evidenziare la natura comunque autonoma di ciascuna esperienza. A sostegno di questa impostazione è lo statuto della stessa Secessione di Monaco che, prima tra i movimenti di questo genere, inizialmente prese il nome di «Associazione degli artisti monacensi» in polemica non solo con la vecchia associazione nazionale tedesca e con i suoi metodi espositivi da Salon parigino, ma anche per dare maggior rilievo agli artisti di Monaco, all’epoca una delle grandi capitali dell’arte europea.