Camera con vista


wenders tra scharoun
e wyeth

di Luca Antoccia

Andrew Wyeth, Il mondo di Cristina (1948), New York, MoMA - Museum of Modern Art.


Frame da Cattedrali della cultura (2014), di Wim Wenders, Michael Glawogger, Michael Madsen, Robert Redford, Margreth Olin e Karim Aïnouz.

Pochi registi hanno continuato a lavorare in modo interdisciplinare come Wim Wenders, intessendo il cinema con la musica (i primi corti, Lisbon Story, Buena Vista Social Club, The Soul of a Man), la pittura (non solo con riferimenti ovunque ma considerandola l’arte chiave per la visione), e poi con la fotografia (Il sale della terra su Salgado), la danza (Pina su Pina Bausch) e perfino la moda (Appunti su moda e città su Yamamoto). Mancava l’architettura, ciononostante gli scritti dedicati dal regista tedesco a questa disciplina sono numerosi e tra gli architetti Wenders è un cineasta di culto. Nel Cielo sopra Berlino la sequenza sulla biblioteca si svolgeva nel “tempio” dell’architettura organica di Hans Scharoun al quale è stato dedicato un corto all’interno del film collettivo Cattedrali della cultura (2014), coordinato da Wenders insieme ad altri autori. Il film (disponibile da giugno 2016 in dvd) dà voce a sei edifici chiave della storia umana. Tra questi troviamo la Filarmonica di Berlino che, come fosse un personaggio, racconta se stessa in prima persona. L’episodio sulla Filarmonica (regia di Wenders) trasmette un amore profondo per un luogo e un artista, Scharoun appunto, ideatore della sala concerti nella capitale tedesca. A questo ponte tra cinema e altre arti Wenders ha contribuito non solo con i suoi film ma anche con i suoi libri. In una raccolta di saggi, I pixel di Cézanne (Roma 2017, v. recensione p. 82), chiarisce i rapporti con alcuni pittori (accanto a fotografi e registi). Nel saggio dedicato a Cézanne, il regista aggiorna una devozione già altre volte espressa per il maestro di Aix-en-Provence che «dipinge l’atto stesso del vedere». «Cento anni dopo chiunque è in grado di scomporre gli atomi della visione (o pixel, se volete) e poi di ricomporla». Ma davvero sorprendenti sono le pagine su Andrew Wyeth (pittore caro ai cineasti, Terrence Malick e Šarūnas Bartas in primis). Wyeth ricompone l’attimo e l’eternità: «Per questo lo considero così essenziale. Abbiamo disimparato come possa essere complesso il vedere, che per noi è diventato il più delle volte solo un primo sguardo, Wyeth ci insegna il secondo e il terzo sguardo. Sembra dirci: considerate tutta la responsabilità che risiede nell’atto del vedere!»