Le opere custodite nelle biblioteche private, se non sono state smembrate, rispecchiano gli studi e il lavoro critico di coloro che formarono queste raccolte che non possono essere definite collezioni in quanto hanno un fine preciso: lo studio e l’analisi del sapere umano, anche se talvolta si associa a questi aspetti la bibliofilia. Dall’analisi dei volumi raccolti si evidenziano le congetture e le nuove proposte metodologiche che negli anni hanno toccato i singoli studiosi.
Tra le biblioteche del Novecento emergono come modelli quelle del filosofo Eugenio Garin (Rieti 1909 - Firenze 2004) e dello storico dell’arte Maurizio
Calvesi (Roma 1927- 2020). Entrambe collocate all’interno delle rispettive abitazioni - l’una, molto sobria secondo i modelli del primo Novecento, a
Firenze prima in via Bolognese, poi in via Vanini e in seguito in via Crispi, l’altra, disegnata ed eseguita appositamente dal maestro Mario Ceroli, a
Roma in via dei Pettinari -, mostrano in parte itinerari diversi ma anche certe affinità tra i due studiosi alla cui base vi è la selezione e la cura
dei libri.
La biblioteca di Garin, per disposizioni testamentarie conservata ora alla Scuola normale superiore di Pisa, è composta da 30.000 volumi di cui
attualmente 2.700 collocati presso il Palazzo del capitano. Il fondo antico, di particolare importanza, è composto da oltre 500 edizioni del XVI secolo
e 460 del XVII, tra le quali ricordo le opere del neoplatonismo fiorentino e, in particolare, di Marsilio Ficino: l’opera completa nell’edizione di
Basilea del 1561 e il raro De vita (Lione 1567). A questi testi si aggiungono, tra gli altri, quelli di fisiognomica, magia e, soprattutto, quegli
scritti ermetici che consentirono a Garin, tra i primi studiosi italiani, di gettare luce su un complesso aspetto della cultura tardoantica e
rinascimentale.