La Predica del Battista (1566, Budapest, Szépmüvészeti Múzeum) segna un momento particolare, nella pittura di Bruegel, in cui si può ipotizzare una sua presa di posizione in difesa dei rom, perseguitati nel periodo della caccia ai protestanti nei Paesi Bassi, allora territorio sottomesso all’autorità della corona cattolica di Spagna. Un periodo drammatico che vede tra l’altro per reazione da parte dei protestanti la distruzione di molte opere d’arte sacra in nome di un’incontrollata e violenta iconoclastia.
Premesso che gli zingari nella storia dell’arte erano già presenti nella pittura occidentale dall’Alto Medioevo - e che lo sono ancora nell’arte moderna
-, nel modo di rappresentarli è possibile leggere una sorta di termometro in grado di misurare la “salute sociale” dei vari paesi.
Esaminando l’opera presa in esame da un punto di vista iconologico, la vediamo ispirata alle Sacre scritture. Giovanni il Battista rivolge la sua
predica a un popolo attento e silenzioso, ma vi scorgiamo un elemento anomalo e in totale discordanza con la sacralità del tema: al centro della
composizione risalta ben evidente una scena di chiromanzia. Senz’altro l’immagine è da ritenersi blasfema, per quei tempi e quei luoghi.
Essa rompe, o meglio, compromette il contenuto escatologico del soggetto. La nostra attenzione, infatti, cade sullo zingaro indovino posto in primo
piano, a scapito del santo relegato in fondo al dipinto.
Il chiromante è avvolto da una coperta a righe (segno distintivo della sua etnia e della sua conseguente marginalità) e legge disinvolto la mano a un
borghese; entrambi si mostrano al momento poco interessati all’evento che si sta svolgendo in quel luogo. Mentre il popolino è attratto dalle parole del
predicatore, l’uomo, distinto, affida la sua mano al sensitivo.