Dentro l'opera
DISTORSIONI
CONTEMPORANEE
IN STILE BIEDERMEIER
Cristina Baldacci
Nei ritratti firmati da Markus Schinwald (Salisburgo, 1973) l’intruso non sfugge nemmeno allo sguardo più distratto. I volti dei personaggi rappresentati, il più delle volte su tela, meno frequentemente su carta, sono limitati da fasciature o deformati da interventi chirurgici e protesi. Come in Katja (2016), l’austero dipinto a mezzo busto di una giovane donna che fissa l’osservatore stando seduta di tre quarti. Il disagio provocato da un confronto così diretto, dove è l’immagine che ci guarda(1), è accresciuto da un particolare stridente, per non dire sinistro. Una mascherina di vetro trasparente copre il naso e la bocca della giovane. I suoi zigomi sono cinti dalla fascia di cuoio che, annodata dietro la testa, sorregge quel dispositivo di protezione, che qui ha tutta l’aria di essere un mezzo di costrizione.
La pittura di Schinwald si basa sull’appropriazione e sulla manipolazione(2) di ritratti ottocenteschi, perlopiù in stile Biedermeier, che l’artista compra e restaura con cura, prima di eseguire aggiunte e cancellazioni concettuali che operano sul piano del contenuto, così come su quello della forma. Se il restauro è già di per sé un gesto significante che produce una contraffazione contenutistico-formale, l’aggiunta di fasciature, protesi e lacci, che sembrano derivare da accurate, quanto complicate, operazioni di sutura, è un altro “camouflage”. La necessità e la funzione di tali dispositivi rimangono misteriose, così come misteriose sono le identità dei personaggi, nonostante i titoli dei ritratti corrispondano a nomi che, privati del cognome, non permettono di risalire a una vera identità.
La mascherina indossata da Katja è simbolo di irrequietudini e corruzioni che solitamente vengono accuratamente celate dietro alle apparenze e che Schinwald (ri)attribuisce al suo volto borghese (forse anche aristocratico) per bene. Il paragone tra volto e maschera è uno dei grandi “topoi” dell’arte che riguarda rappresentazione e identità(3), a cui in questo caso si aggiunge il tema dell’umano in relazione al postumano, dal momento che protesi e altri elementi artificiali rievocano il manichino/automa.
Per Schinwald si tratta di un omaggio e insieme di una profanazione irriverente della tradizione della pittura come linguaggio e del ritratto come genere. L’inquietante, l’assurdo entrano in gioco per destabilizzare quel romanticismo piccolo-borghese, senza particolari qualità, né dal punto di vista estetico-artistico, né da quello morale, così diffuso in Austria e in Germania a partire dalla prima metà del XIX secolo, da portare alla definizione di un gusto ancora molto in voga anche nel Novecento.
Schinwald inevitabilmente si confronta anche con un’altra tradizione austriaca, quella che a inizio Novecento affonda le radici nell’inconscio, nella metamorfosi e corruzione del corpo, nel perturbante, con Oskar Kokoschka, Egon Schiele e il Gustav Klimt “dei vizi e delle forze ostili” raffigurati nel fregio della Secessione viennese. Ci aggiunge però un’ironia, vicina al grottesco, tutta contemporanea, che richiama la serie di ritratti con nasi da clown, occhi strabici o coperti da fascette nere (come nelle foto dei rotocalchi scandalistici) del tedesco Hans-Peter Feldmann.