XXI SECOLO 2
IL DIBATTITO SULLE “RESTITUZIONI”

VERSO UN MUSEO
postuniversale

TORNIAMO, A DISTANZA DI UN MESE, SUL TEMA DELLE “RESTITUZIONI” DI OGGETTI E OPERE D’ARTE AFRICANA DA PARTE DI MUSEI ETNOGRAFICI COSTRUITI SU RACCOLTE DERIVANTI DAL PASSATO COLONIALE DEGLI STATI EUROPEI. IN QUESTE PAGINE IL “CASO DIYABANZA”, CHE LO SCORSO ANNO MISE IN SUBBUGLIO ALCUNE ISTITUZIONI MUSEALI RIMETTENDO IN DISCUSSIONE IL CONCETTO STESSO DI MUSEO “UNIVERSALE”.

Jonas Tinius

«Torniamo a casa». Con queste parole, l’attivista congolese e panafricano Mwazulu Diyabanza accompagna attraverso le gallerie del Musée du Quai Branly-Jacques Chirac di Parigi un palo funerario in legno del XIX secolo, espropriato dal Ciad durante il periodo coloniale francese. Diyabanza estrae il palo dalla struttura che lo sorregge, si fa filmare e proteggere da compagni vestiti con abiti che ricordano i guerrieri del film Black Panther. Live sui social media, mentre si aggrappa saldamente con le mani al manufatto e ignora le grida delle guardie, guarda nella telecamera e ribadisce il senso della sua azione: «Sono venuto a recuperare questo manufatto in nome dell’unità e della dignità […]. Torniamo a casa, e non dobbiamo chiedere permesso a chi è ladro». 

Questa prima azione di Diyabanza a Parigi il 12 giugno 2020 è stata seguita da successive coreografie altrettanto spettacolari e live-streamed nel Museo d’arte africana, oceanica e indiana di Marsiglia all’interno della Vieille Charité (lo scorso luglio), nell’Africa Museum di Berg en Dal in Olanda (lo scorso settembre) e al Louvre (lo scorso ottobre). Successivamente l’attivista è stato arrestato, ascoltato in tribunale e accusato di tentato furto di un bene culturale. Diyabanza e i suoi colleghi avrebbero potuto affrontare pene detentive e una multa a sei cifre, invece hanno ricevuto una condanna minima, duemila euro. I giudici si sono rifiutati di prendere parte alla vasta portata ideologica del suo spettacolo, affermando di non essere «competenti a giudicare l’epoca coloniale francese» (secondo un rapporto di AP Archive).


Mwazulu Diyabanza al Palazzo di giustizia di Parigi dopo la sua azione al Quai Branly del giugno 2020.