XXI SECOLO 3
ARTE MONOCROMA E ANICONICA

l’immagine
e il nulla

NEL CORSO DEL XX SECOLO ARTISTI DI DIVERSE AVANGUARDIE DECIDONO DI SVINCOLARE DEFINITIVAMENTE L’ARTE DAL COMPITO DI RIPRODURRE IL REALE. SPINGENDO L’ANICONISMO VIA VIA SEMPRE PIÙ IN LÀ NELL’ELIMINAZIONE DI OGNI PARVENZA DI RAPPORTO CON L’ALTRO DA SÉ, FINO ALL’ASSOLUTEZZA DELLA MONOCROMIA.

Mauro Zanchi

Nel settembre 1921 Aleksandr Michajlovič Rodčenko si congeda dall’arte pittorica dopo aver mostrato il suo trittico monocromo - tre tele: rossa, gialla e blu - alla mostra 5 x 5 = 25 tenutasi a Mosca. In questa occasione l’artista afferma: «È finita. I colori di base. Ogni superficie è una superficie e non ci deve più essere rappresentazione». La Russia rivoluzionaria mette in discussione lo statuto della pittura, porta all’estremo la direzione riduttiva di questo medium, sfocia al puro monocromo, per andare oltre il rapporto tra figura e fondo, oltre lo spazio immaginario, al di là del superfluo. Donald Judd riprende questo pensiero nella New York di fine anni Cinquanta, condannando la pittura per la sua propensione a non sapersi disfare completamente dell’illusionismo. L’ipotetico “ultimo quadro” auspicato dal gesto iconoclasta di Rodčenko avrebbe portato gli artisti rivoluzionari all’elaborazione di una piattaforma produttivista, a lavorare in fabbrica, nei primi mesi del 1922. 

Kazimir Malevič, l’ideatore del suprematismo, negli ultimi anni della sua vita fu costretto a dipingere opere figurative. In una sorta di celata ribellione, per mantenere ancora vivo il suo gesto rivoluzionario in un periodo molto difficile a causa delle purghe staliniste, Malevič dipinge il quadrato nero, minuscolissimo, anche nei ritratti dell’ultimo periodo, che rivisitano l’arte del Cinquecento italiano e nordeuropeo. Questo quadrato nero risorgerà nel corso del tempo, dilatandosi concettualmente in altre opere monocromatiche, come quelle minimaliste americane di Barnett Newman e Ad Reinhardt, o come i Blackform Paintings (1964) e i quattordici dipinti neri con diverse sfumature (1964-1967) della Rothko Chapel a Houston. Torna in mente anche l’incipit di 2001 Odissea nello spazio (1968), dove lo schermo nero, per tre lunghissimi minuti, precede qualsiasi narrazione successiva e ogni racconto per immagini, affidandosi al potere evocativo della colonna sonora di Strauss (“ouverture” di Così parlò Zarathustra) che ha la forza di dilatare l’immaginazione oltre ogni limite figurativo. E chissà se Stanley Kubrick aveva visto il quadrato nero dell’incisione presente nel libro Utriusque Cosmi (1617) di Robert Fludd, ovvero la sintesi visionaria del nulla che è stato prima dell’universo. Il quadrato nero occupa quasi totalmente l’intera pagina, con la scritta «Et sic in infinitum » su ogni lato, per rimandare a una dilatazione nello spazio e nel tempo. L’immagine visionaria di forte impatto concettuale e filosofico fu realizzata dall’incisore svizzero Matthäus Merian su indicazioni dello stesso Fludd, medico rosacrociano, astrologo e filosofo neoplatonico, figlio del tesoriere alla corte della regina Elisabetta I d’Inghilterra. L’artista tedesco Carsten Höller, con l’installazione Decision Corridors (2015), indaga ulteriormente lo spazio nero aniconico, riflettendo anche sui processi decisionali dell’individuo. Invita ogni fruitore a percorrere due corridoi completamente bui, in grado di far perdere le coordinate spazio-temporali. 


IL QUADRATO NERO RISORGERÀ NEL CORSO DEL TEMPO, DILATANDOSI CONCETTUALMENTE IN ALTRE OPERE MONOCROMATICHE


L’oscurità ovviamente condiziona l’esperienza e le sensazioni del visitatore, così che il corpo viene portato a cercare nuovi riferimenti, ad adattarsi all’ambiente buio, a confrontarsi anche con le percezioni uditive e tattili. Se nel corridoio oscuro sono presenti più persone, ogni individuo viene disorientato dal rumore straniante dei passi degli altri all’interno del percorso. Per Höller in questa sua opera immersiva non c’è nulla da vedere se non qualcosa che conduce altrove.


Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio (1968), il monolito nel momento del trapasso.


Mark Wallinger, Via dolorosa (2002), installazione permanente, Milano, duomo.


Robert Fludd, Il nulla che è stato prima dell’universo, in Utriusque Cosmi (1617).