Il cinquecentenario della morte di Raffaello ha offuscato tutte le altre ricorrenze legate al doppio decimale di questo o quel secolo. In parte, solo la ricorrenza legata ai cento anni dalla nascita di Alberto Sordi si è salvata dall’ombra luminosa che il grande artista di Urbino ha proiettato sul mondo culturale di questo secondo decennio del XXI secolo. A farne le spese, fra gli altri (potremmo ricordare per esempio Carlo Gozzi, letterato nato nel 1720, autore della Marfisa bizzarra, pubblicata di nuovo a cura di Cornelia Ortiz, oppure Gaetano Sabatelli, nato nel 1820, autore del celebre quadro con Cimabue che guarda il giovane Giotto intento a disegnare la pecora, ripreso come marchio dalla - omonima - fabbrica di matite e colori), è stato Plinio De Martiis, nato nel 1920, fotografo, gallerista e uomo di cultura, ben noto al jet-set romano dagli anni Sessanta ai Novanta del secolo scorso.
Quando nel 1954 Plinio De Martiis sciolse la sua società cooperativa Fotografi Associati che aveva aperto a Roma due anni prima, l’ambiente artistico della capitale era in pieno fermento. Si trattò di un’onda lunga che era partita già con il 1945, immediatamente dopo la fine del periodo bellico quando a dare, per così dire, il “calcio d’inizio” a una storia che non si sarebbe più fermata se non sugli scogli della crisi del 2008, non fu un italiano, ma il polacco Jozef Jarema, ex combattente della divisione Anders nell’esercito alleato, ma pittore che si era formato all’Accademia di belle arti di Cracovia(1). La sua fortunata intuizione fu quella di fondare un’associazione d’arte che prese il nome di Art Club la quale, come la definì il critico d’arte e poeta Cesare Vivaldi, era «una sorta di officina in cui forze diverse, ma vicine per cultura artistica e per visione internazionale, si sono confrontate affinandosi e migliorandosi l’una con l’altra»(2).
