Il conflitto tra cattolici e protestanti che insanguinò l’Europa nel secolo XVI si manifestava sotto forma di lotta fra il Bene e il Male, fra eretici e difensori della vera fede. A leggerlo anche come una questione di tasse e di concorrenza commerciale si fa forse peccato ma ci si accosta abbastanza al vero. Ed è in questo clima che qualcuno cominciò a tirar giù le statue.
“Beeldenstorm”, letteralmente la “tempesta delle immagini”: questo è il termine con cui ci si riferì al turbine di distruzione che attraversò i Paesi Bassi nel 1566, con una seconda ondata nel 1581. Gruppi di iconoclasti armati di torce, corde e picconi attaccavano chiese e conventi, bruciando crocifissi, libri e dipinti di soggetto religioso ma anche mappe e pubblicazioni scientifiche, svellendo le statue da colonne e pareti per frantumarle. Anche molti ecclesiastici finirono vittime degli iconoclasti. Il 19 e 20 agosto 1566 aggredirono Anversa, due giorni dopo toccò a Gand. Furono particolarmente le statue a essere oggetto di distruzione, in quanto la loro tridimensionalità le accostava maggiormente alla lettura del secondo comandamento veterotestamentario come a un divieto di adorare “idoli”.
UN TURBINE DI DISTRUZIONE ATTRAVERSÒ I PAESI BASSI NEL 1566
I protestanti si erano radicalizzati - diremmo oggi - soprattutto in Francia, in Inghilterra e nei Paesi Bassi. Questi ultimi erano parte dell’impero spagnolo e cattolico di Filippo II, il quale era impegnato a spremerne le ingenti e recenti ricchezze per rabberciare le proprie casse estenuate da decenni di guerre e sperperi. Le province dei Paesi Bassi si tenevano strette ai loro superstiti privilegi di autonomia per opporsi ai prelievi forzosi del potere centrale, e per molti contrastare l’avidità dell’impero e abbracciare il calvinismo più ortodosso fu tutt’uno. Un inverno più feroce del solito, nel 1565-1566, causò cattivi raccolti, un brusco accentuarsi delle disuguaglianze nelle condizioni di vita e un malcontento diffuso. Molti iniziarono a vedere nella ricchezza appariscente di chiese e conventi un’insostenibile ingiustizia se raffrontata con le condizioni della propria vita quotidiana. Per qualche tempo fu satira sugli abati mangioni, poi i più esasperati accolsero come un tratto distintivo lo stigma di “straccioni” (“gueux”) con cui venivano irrisi dai fedeli alla corona e iniziarono a predicare rivolta. Dio non abita nei ricchi templi papisti, «covi di assassini e bordelli», secondo la propaganda dei predicatori riformati, bensì nelle strade, nelle radure fra i boschi, nelle semplici case degli operai (nella Predica del Battista di Pieter Bruegel, del 1566, vediamo un’allusione alla pratica di tenere prediche rurali all’aperto)(1).
La repressione spagnola non si fece attendere, il capo delle armate del re cattolico, il duca d’Alba, istituì nel 1567 il cosiddetto Consiglio dei torbidi, un tribunale speciale per regolare i conti con gli iconoclasti. La dissidenza religiosa fu assimilata alla lesa maestà o al tradimento, e come tale punita. Tra le vittime più famose del tribunale il conte di Egmont, che sarà poi celebrato come eroe per la libertà in un’opera teatrale di Goethe musicata da Beethoven.


