Finestre sull'Arte 


Un polittico
dall’intensa
vitalità

Federico D. Giannini

DOPO SEI ANNI DI RESTAURO IL POLITTICO TARLATI DI PIETRO LORENZETTI È TORNATO NELLA SUA SEDE ORIGINARIA, LA PIEVE DI SANTA MARIA DI AREZZO, CON I SUOI MAGNIFICI CANGIANTISMI E LA PIENA LUMINOSITÀ DEL FONDO ORO

Settecento anni esatti son passati da quando, il 17 aprile del 1320, Pietro Lorenzetti stipulava col vescovo di Arezzo, Guido Tarlati, il contratto d’allogagione per una delle opere fondamentali del Trecento, il polittico della pieve di Santa Maria di Arezzo, passato alla storia dell’arte col nome del suo committente: Polittico Tarlati, appunto. Di questo polittico sappiamo che in origine si presentava con un assetto molto più monumentale, sappiamo che un tempo si trovava sull’altare maggiore della pieve (era lì quando, ancora nel Cinquecento, lo vedeva un grande aretino, Giorgio Vasari), sappiamo che fu lo stesso Vasari a eliminare la preziosa carpenteria trecentesca per adattare il complesso al gusto dell’epoca, sappiamo che conobbe alcuni trasferimenti nell’Ottocento. Poi però il Polittico Tarlati è tornato lì, nella sua chiesa, a mostrare l’esito di uno dei momenti più felici della carriera di Pietro Lorenzetti, appena a ridosso degli affreschi della basilica inferiore di Assisi di poco precedenti (nonché memore dell’incontro col “pathos” di Giovanni Pisano), e a farsi simbolo di quella «civiltà artistica della terra aretina» che dà nome a un libro di uno dei più insigni storici dell’arte del secolo scorso, quel Mario Salmi che lodava «l’intensa vitalità» del polittico di Lorenzetti. 

Una vitalità che, adesso, ci sorprende ancor più in seguito ai risultati del lungo restauro, di recente concluso, a cui il Polittico Tarlati è stato sottoposto: una squadra di restauratrici, composta da Paola Baldetti, Marzia Benini e Isabella Droandi del consorzio aretino RICERCA, ha terminato un intervento durato sei anni, in parte autofinanziato, e che ha condotto a esiti inaspettati. L’intervento era motivato dalla necessità di rivedere i risultati del restauro eseguito sull’opera nel 1976, dopo che uno squilibrato tentò di darle fuoco: fortunatamente l’attentato provocò solo un paio di bruciature al supporto ligneo, ma il polittico dovette compiere comunque un passaggio in laboratorio. I restauratori lavorarono con materiali molto alterabili: vernici protettive e integrazioni che col tempo si sono ingiallite. Le restauratrici, nel procedere con la pulitura degli strati alterati, si sono accorte che il lavoro precedente non aveva rimosso le antiche patine che avevano a loro volta offuscato la superficie, e che sono state dunque eliminate. L’operazione ha consentito di recuperare i cangiantismi ottenuti per mezzo di lievi pennellate sovrapposte e di ritrovare la piena luminosità del fondo oro, caratterizzato da incisioni condotte a mano libera. Una importante campagna diagnostica, la revisione della funzionalità del supporto ligneo, la stuccatura e il restauro pittorico hanno completato le operazioni, che hanno anche portato a un’ipotetica ricostruzione di come l’opera doveva presentarsi in origine. 

Un lavoro corale, che ha coinvolto non solo gli esperti, ma anche aziende e privati cittadini che hanno voluto dare il loro contributo per recuperare questo capolavoro della pittura medievale. Che adesso si disvela agli occhi dei riguardanti consentendoci d’apprezzare al meglio la finezza di Lorenzetti e la vivezza della sua opera, nel luogo per cui fu immaginata.


Pietro Lorenzetti, Polittico Tarlati (1320), Arezzo, pieve di Santa Maria.