È in corso da qualche anno la singolare “riscoperta” di un territorio che dovrebbe essere noto da sempre: quello della Tuscia romana e viterbese, la parte settentrionale cioè della regione Lazio. “Tuscia” è la parola con cui, a partire dall’età tardo romana e poi durante il Medioevo, si designava la regione storica dell’Etruria (e “tusci”, in effetti, era il nome con cui i romani avevano chiamato gli etruschi). L’uso della definizione non è stato costante nel tempo: se si deve individuare un momento di “ufficializzazione”, possiamo forse ricordare la fondazione nel 1979 dell’ateneo viterbese, denominato appunto Università degli studi della Tuscia.
Fra i centri etruschi e romani che hanno conosciuto un’importante fioritura anche in età medievale e moderna (Centumcellae-Civitavecchia, Tarquinia, Volsinii-Bolsena, Sutri…), quello che presenta il nome più chiaramente collegabile con quell’etimo è Tuscania. Perché non altri? Secondo il grande etruscologo Giovanni Colonna, in realtà, qui il significato non è “città della Tuscia” (ve ne erano appunto molte altre), ma qualcosa come “città del tusco”, città creata cioè presumibilmente da un “eroe fondatore” che era tornato in patria dopo aver compiuto rilevanti gesta fra IX e VII secolo a.C. (periodo di forte espansionismo etrusco) nei paesi dei popoli confinanti (falisci, latini, umbri, sabini), dove gli era stata attribuito quel nome: insomma, era noto appunto come “il Tusco”.
L’abitato, preceduto da importanti resti dell’età del Bronzo e del Ferro, cominciò a svilupparsi dal VII secolo a.C. La città, come sintetizza proprio Colonna, «ha primeggiato a lungo fra quelle dell’Etruria meridionale interna: in età arcaica insieme a San Giuliano e a Blera, in età ellenistica assieme a Norchia», per poi essere conquistata da Roma.

